Cecilia Sala racconta la sua detenzione Iran: la sua voce nell’intervista con Mario Calabresi
La giornalista era stata rinchiusa nel carcere di massima sicurezza di Evin, a Teheran, dopo essere stata fermata in circostanze ancora poco chiare il giorno prima della sua partenza per ritornare in Italia
È rientrata ieri in Italia Cecilia Sala, la giornalista trattenuta nel carcere di massima sicurezza di Evin, a Teheran, dopo essere stata arrestata in circostanze ancora poco chiare il giorno prima della sua partenza per l’Italia. Oggi, intervistata da Mario Calabresi nel podcast “Stories” di Chora Media (per ascoltarlo basta cliccare la copertina di questo articolo), ha raccontato la sua drammatica esperienza, tra isolamento, interrogatori e la lunga attesa per la libertà.
“Non mi è stato spiegato perché sono finita in cella”
Sala ha spiegato di non aver ricevuto informazioni sul motivo del suo arresto: “L’Iran era il Paese dove più volevo tornare. Avevo amici lì. Quando ho ottenuto il visto, ero felicissima. L’ultima persona che avevo intervistato mi aveva raccontato come si vive in una cella di isolamento. Mai avrei pensato di provarlo sulla mia pelle”.
La giornalista è stata portata via dal suo albergo durante i preparativi per una nuova puntata del suo podcast. “Pensavo fossero le pulizie. Invece, mi hanno preso. All’inizio speravo fosse una cosa rapida, ma alle prime domande ho capito che non sarebbe stato così”.
Il tempo in cella: tra paure e resistenza mentale
In isolamento, Cecilia ha trovato rifugio nelle piccole cose: “Ho riso per la prima volta quando ho visto il cielo e poi per un uccellino che faceva un verso buffo”. Ma il silenzio era il nemico più grande: “La parte più difficile è la tua testa. Passavo il tempo a contare i giorni, le dita, a leggere gli ingredienti del pane. Speravo in un libro per evadere con la mente”.
La giornalista ha chiesto un Corano in inglese, convinta fosse l’unico libro disponibile. Solo negli ultimi giorni di prigionia ha ricevuto un libro e gli occhiali, dopo giorni senza poter vedere bene.
La compagna di cella e la speranza
In seguito, Sala ha condiviso la cella con un’altra donna, un’oppositrice del regime iraniano: “Comunicavamo con abbracci, sorrisi, gesti. Le ho insegnato qualche parola in inglese, lei mi ha insegnato il farsi. Giocavamo per tenerci occupate”. La complicità tra le due ha contribuito a rendere sopportabile la prigionia.
Quando le hanno comunicato la liberazione, Sala ha faticato a crederci: “Pensavo fosse un trucco. Mi sentivo in colpa sapendo che avrei lasciato lì la mia compagna di cella”.
Interrogatori quotidiani e accuse vaghe
Durante la detenzione, Sala è stata interrogata quasi ogni giorno: “A volte volevano risposte, altre volte serviva solo a confondermi. Mi hanno accusata di diverse azioni illecite commesse in luoghi diversi. Ho pensato che mi avrebbero accusata di propaganda contro la Repubblica islamica”.
Il ritorno in Italia
L’angoscia ha lasciato spazio alla felicità una volta tornata in Italia: “Questa notte non ho dormito per la gioia. La notte prima non ho dormito per l’angoscia. La prima faccia italiana che ho visto è stata quella di un uomo. Sono grata e felice, ma mi sento anche confusa. Mi devo riabituare”.
Cecilia Sala ha sottolineato che c’è un’indagine in corso e che non può rivelare molti dettagli per non compromettere il lavoro delle persone che si sono adoperate per riportarla a casa. Il suo ritorno è un sospiro di sollievo, ma restano ancora molte domande aperte sulle circostanze del suo arresto.
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