Mauro Frangi: “Ripartire insieme, le sfide e le opportunità del mondo cooperativo”
In una fase di transizione le difficoltà per le imprese sono molteplici. Il presidente di Confcooperative Insubria raccoglie tutte le sfide del presente ricordando che il modello cooperativo punta sulla comunità per costruire un futuro sostenibile
Come tutte le transizioni economiche, anche quella attuale, connotata da una profonda visione green e accolta ormai da tempo nel dibattito politico ed economico, rappresenta un passaggio difficile, tutt’altro che risolto.
Per dire di aver girato l’interruttore della svolta, non basta fare proprie parole d’ordine, prima fra tutte “sostenibilità”. Occorrono passi concreti in un contesto che sembra in tutt’altre faccende affaccendato.
Mauro Frangi, presidente di Confcooperative Insubria, sembra aver chiaro che in questa fase il quadro di riferimento per un’impresa è in continuo divenire. Una fluttuazione che dipende da più fattori, alcuni esterni al sistema cooperativo, altri, invece, interni.
Dice Frangi: «La ripartenza di settembre è stata sicuramente difficile per molte imprese, incluse quelle cooperative. Viviamo un periodo segnato da molteplici fattori destabilizzanti: le guerre vicino a casa nostra, l’instabilità macroeconomica e, non ultimo, il costo del denaro, che continua a rimanere alto. Nonostante la recente riduzione dei tassi da parte della Bce (Banca centrale europea), c’è un problema diffuso di scarsa capitalizzazione delle piccole imprese che fanno ancora molta fatica ad accedere al credito. Quanto basta per frenare gli investimenti, che a loro volta limitano le opportunità di sviluppo, la modernizzazione, e l’apertura a nuovi mercati, soprattutto nel digitale».
Presidente, rimanendo sul fronte dei problemi, in questa fase c’è un’evidente difficoltà di tutte le imprese nel reperire personale qualificato. Visto da fuori sembra un problema ormai strutturale.
«Qualche settimana fa una nostra associata ha lanciato sulla rete il messaggio “SOS educatori”. È un’impresa eccellente, in grado di offrire buone condizioni di lavoro, esperienze professionali di qualità e un ambiente di lavoro stimolante e ricco di opportunità, eppure fatica a trovare le persone che le servirebbero. Le nostre sono imprese centrate sul lavoro. Che operano in settori ad alta intensità di manodopera. E la carenza di lavoro, soprattutto qualificato e motivato, si fa sentire più che altrove: mancano non solo educatori ma anche operatori sociosanitari, infermieri, tecnici, personale nella sanificazione e nelle pulizie. È un dato che si registra a livello generale nel Paese e in tutti i settori dell’economia ma che in un territorio come il nostro, con un mercato del lavoro attrattivo come quello ticinese così vicino, pesa ancora di più».
Che tipo di soluzioni ci sono per un mercato del lavoro così in difficoltà?
«Servirebbe, davvero, una riflessione completamente diversa da quella abituale sulle politiche migratorie. L’Italia e le sue imprese hanno bisogno di lavoratori che non ci sono e che, in un paese che inesorabilmente invecchia come il nostro, non ci saranno negli anni che verranno. Nell’ultima Giornata dell’Economia, la Camera di Commercio di Como e Lecco ha proposto una riflessione al riguardo. Compensare la riduzione della popolazione in età lavorativa, che sicuramente avremo nei prossimi 5 anni nelle nostre province, richiederebbe un incremento importante del saldo migratorio. Servirebbe costruire politiche migratorie che guardino al futuro. Politiche capaci di attrarre risorse umane attraverso flussi regolari e funzionali alla domanda di lavoro delle imprese. Purtroppo, il dibattito su questi temi langue e la politica sembra guardare altrove: a cercare consensi chiamando alla “difesa dall’invasione” o all’utopia dei “confini aperti per tutti a prescindere”».
Spostando l’asse dei problemi sulle tariffe dei servizi, un altro punto critico che avete sollevato. Cosa sta succedendo?
«Lo scorso anno abbiamo chiesto alle nostre cooperative sociali un grande impegno, siglando un contratto collettivo che prevede incrementi retributivi nell’ordine del 15%. Una sfida difficile che mette a dura prova la capacità di tenuta di molte imprese, soprattutto delle più piccole, necessariamente più fragili. Una sfida ineludibile, per smontare la retorica di chi ci dipinge come “imprese di serie B” e, soprattutto, per dare una giusta e maggiore soddisfazione alle fatiche quotidiane dei nostri soci e dei nostri collaboratori. Ora serve che le Amministrazioni Pubbliche adeguino le tariffe dei servizi, spesso ferme da anni. Riconoscendo, finalmente, il valore del lavoro sociale, sanitario, di cura. Non dovrebbe esserci bisogno di una pandemia per capire quanto queste professioni e questi servizi siano essenziali e delicati. È indispensabile che le amministrazioni pubbliche facciano la loro parte e riconoscano questa essenzialità, praticando tariffe adeguate e prevedendo appalti economicamente appropriati. Appalti che superino una volta per tutte la logica del massimo ribasso del prezzo per premiare la qualità del lavoro sociale e di cura. Sta accadendo solo parzialmente e molto a macchia di leopardo, mentre invece servirebbe una consapevolezza più diffusa. Credito oneroso, manodopera scarsa e tariffe insoddisfacenti sono problemi rilevanti che appesantiscono le imprese, ma che non impediscono alle cooperative di continuare a fare bene il loro mestiere».
Quali sono gli ambiti in cui state cercando di migliorare la capacità del modello cooperativo di rispondere ai bisogni delle persone e delle comunità locali?
«C’è il grande tema dell’abitare e della possibilità per le persone, soprattutto i più giovani, di accedere ad una casa di qualità e a costi sostenibili. È sempre di più un tema al centro del dibattito cittadino. Perché nella Como sempre più al centro del turismo internazionale, le persone rischiano di far fatica a trovare casa. Non ci appassionano né le critiche alle istituzioni né chi punta il dito contro gli affitti brevi. Proviamo a costruire risposte. A costruire relazioni fiduciarie e solidali che consentano anche ai più deboli di trovare soluzioni in affitto a prezzi calmierati, come facciamo con la Fondazione Scalabrini, o a realizzare alloggi in proprietà a prezzi sensibilmente inferiori a quelli di mercato come fanno le cooperative di abitazione associate al Consorzio Abitare, che quest’anno compie 20 anni di vita. E, infine, il tema della scuola. Anche di questo si fa un gran parlare in città di questi tempi. Noi lo affrontiamo nel solito modo: provando a costruire soluzioni, dal basso, in una logica insieme imprenditoriale e comunitaria. Abbiamo deciso di investire risorse umane e risorse finanziarie rilevanti nel rilancio della scuola Isma (Istituto Santa Maria Assunta, ndr) di Villaguardia. Con il nuovo anno scolastico è gestita da una cooperativa i cui soci sono i lavoratori della scuola: oltre 370 alunni, dalla scuola dell’infanzia alle elementari e alle medie. Il disegno è ambizioso. Non solo per la dimensione degli investimenti necessari. Ma soprattutto per l’ambizione di volerla rendere una scuola autenticamente gestita in modo democratico e partecipato dalla comunità che la anima: lavoratori, famiglie dei ragazzi, allievi, territorio. Fare impresa per soddisfare bisogni, anziché chiedere ad altri di soddisfarli.».
È evidente che nel dna di questo modo di fare impresa ci sia la messa a terra di una limpida utopia. In una battuta: che cosa vi distingue dalle altre imprese?
« I fatturati e i profitti non sono i fini delle imprese cooperative. Sono solo gli strumenti per costruire opportunità per le persone, prendersi carico e tutelare diritti, generare servizi accessibili a tutti, costruire, con iniziative imprenditoriali dal basso, coesione e fiducia, “legami di comunità” più solidi, dove ognuno si senta parte attiva della crescita collettiva. Questo è il vero valore delle cooperative, fare impresa per soddisfare bisogni, anziché chiedere ad altri di soddisfarli. Far diventare tutti i protagonisti dell’impresa decisori coinvolti e consapevoli, costruendo un’autentica democrazia. Generare ricchezza condivisa da molti, anziché privilegi per pochi».
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