Via dalla casa delle paure
di Paolo Negri
Guardavo fuori dalla finestra, come ogni giorno. Lui si era addormentato sulla poltrona, alle 19, puntuale come sempre. La chiave d’oro non la teneva al collo. Era infilata nella serratura. Fu questa l’importante novità. Il sole, inabissandosi, mi aveva consigliato di scendere le scale. Così lo scoprii.
Cosa fare? Mi allacciai il vestito, trattenni il fiato, percorsi da ladra il corridoio, rasente al muro. Il suo sonno era alquanto imprevedibile. Misi la mano sulla maniglia. Chiusi gli occhi. Li riaprii dopo aver accostato la porta con lentezza. Misi la chiave in tasca. Ero sola. Dove andare? Mi ricordai di un manifesto affisso al muro. Dalla camera non riuscivo a leggere certe scritte troppo piccole, così mi precipitai nella sua direzione. Avevo bisogno di una meta, di un nuovo perché.
“Può essere che domani vai dal panettiere e muori. O magari ti innamori”. Era il sottotitolo di una pièce teatrale. Foto accattivante e repliche concluse. Che peccato…
Allora chiesi aiuto a una piccola signora in avvicinamento. Era ciondolante con dei sacchi della spesa tenuti come i piatti di una bilancia. Le sue indicazioni furono perfette. Poco dopo entrai nel negozio, il campanello mi sorprese e io studiai con attenzione il mobilio, la mercanzia in vendita, il profumo di chi se n’era appena andato. “Mi dica signorina, cosa desidera?”
Mi voltai e lo guardai. Indicai una michetta. Presi il sacchetto, mi frugai nelle tasche, e la cassiera mi disse: “Non si preoccupi, me lo può pagare domani se non ha moneta con sé”.
Girovagai per la città. C’era il vociare delle persone che rincasavano, le cler che si abbassavano, i lampioni che si svegliavano, ma soprattutto c’era la mia paura della notte. Quando notai la persistente ombra di un uomo in lontananza, iniziai a correre. Avevo bisogno di un rifugio. Ma l’unico di cui avevo la chiave era una prigione. Mi guardai la scottatura sul palmo della mano destra.
Questo appartamento è vuoto. Ci sono le tende da lavare, il letto in disordine e i pensieri ancora tremanti. Ma di lui nessuna traccia. Né nelle foto, né sulle mensole. Sto meglio ora, non sono morta. Ma non mi sono nemmeno innamorata, o forse, non di una persona. Metto a scaldare dell’acqua. Cerco una candela. Mi calma leggere prima di andare a letto. Tiro la tenda, non mi interessa spiarlo. Mi accorgo che il manifesto dello spettacolo è stato sostituito da una locandina che pubblicizza l’apertura di uno spaccio di bottoni. Quasi quasi domani ci andrò e ne comprerò una dozzina. Cercherò quelli color perla. Del proprietario di questa casa, so solo quattro cose: che lascia spesso la porta aperta quando esce; che tiene le camicie con un bottone sì e uno no; che di cognome fa Coraggio. E che lo incontro non affacciandomi a una finestra ma davanti a uno specchio.
Racconto di Paolo Negri (www.ilcavedio.org). Dipinto di Norberto Anelli
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