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Sessantotto

Un campione leggendario - Jaromir Jagr - e il suo numero dedicato ai nonni, scomparsi in quel 1968 in cui a Praga scoppiò una Primavera troppo breve. Repressa dai carri armati russi

alla balaustra sessantotto jaromir jagr

(d. f.) “Sessantotto” è la quarta puntata della rubrica di Marco Giannatiempo curata dalla redazione sportiva di V2 Media/ VareseNews e dedicata alla cultura dell’hockey su ghiaccio. “Alla balaustra” ha cadenza quindicinale e viene pubblicata il primo e terzo (ed eventualmente quinto) lunedì pomeriggio di ogni mese.

Inverno 1982 palaghiaccio di Kladno, cittadina dell’allora Cecoslovacchia e capoluogo dell’omonimo distretto nel cuore della Boemia Centrale. Un ragazzino si attarda sul ghiaccio mentre la rolba è ormai a metà pista, l’inserviente che la manovra si accanisce sull’assordante clacson minacciando di scendere e di cacciarlo fuori a pedate: il ragazzino sorride, pattina, gira attorno alla rolba ed esce dal ghiaccio. Sul percorso che divide la panchina dagli spogliatoi si srotola una striscia di linoleum blu segnato dal passaggio di migliaia di lame dei pattini, sul quale il ragazzino fa scorrere una palla di scotch che spinge in avanti con la pala del suo bastone. L’ultimo affondo prima della porta degli spogliatoi trova però un ostacolo: sono delle scarpe tirate a lucido e appartengono ad un uomo alto, ben vestito sotto a quel cappotto nero che lo ricopre sino a quasi le caviglie.

È un supervisore dei Rytíři Kladno, la squadra locale. Sul bavero del cappotto luccica la spilla dorata della StB acronimo di Státní Bezpečnosmolto che è lo sponsor principale della squadra, uno sponsor particolare che non produce né birra né capi di abbigliamento: si tratta infatti della forza di polizia segreta della Cecoslovacchia comunista, attiva nell’intelligence e controspionaggio. La StB ha il compito di occuparsi di qualsiasi attività non gradita al Partito ed allo Stato, cosa non troppo strana per allora, quando lo sport era di fatto uno strumento parecchio utilizzato come mezzo di propaganda. L’uomo alto e vestito di nero si avvicina al ragazzino, lo accarezza, e sorridendo gli consegna una lettera indirizzata ai suoi genitori Jaromír Jágr, Sr. e Anna Jágrová: è una convocazione ufficiale per far parte delle giovanili dei Rytíři Kladno. Quel pomeriggio inizia la carriera professionistica di uno dei più forti giocatori di hockey su ghiaccio di sempre. (foto in alto: Jagr in occasione della cerimonia del numero 68 da parte di Pittsburgh | Foto: Nhl/Penguins)

In realtà i primi pattini di Jaromír non sono da hockey ma da velocità, disciplina in cui eccelle all’età di soli sei anni, staccando gli avversari in estrema scioltezza, grazie alla sua incredibile struttura fisica. Ma allo Stato servono giocatori di hockey, e da quella potenza un bravo allenatore ne caverà certamente qualcosa di buono.
Jaromír è anche uno studente molto intelligente e sveglio, pure potenzialmente sovversivo – dice il suo maestro – quando gli sequestra il diario nel quale trova la foto dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America, Ronald Reagan. Jaromír, lo stesso ragazzino che ogni tanto fischiettava “Z kouta do kouta”, canzone dei Plastic People of the Universe che suonano musica proibita secondo il regime. Naturalmente c’è un problema: in quella scuola come del resto in tutte le scuole del paese, si insegna la dottrina sovietica che tramite una narrazione ben precisa pone la Russia come protettrice del paese dalla minaccia americana.

Ma il giovane Jaromír non ci crede, ha letto di come funziona una democrazia ma soprattutto conosce l’oppressione subita dalla sua famiglia e ricorda bene i racconti della nonna materna di quando arrivarono i russi nel 1948, di come si appropriarono delle loro fattorie, del bestiame, ma soprattutto qualche anno più tardi quando imposero a suo nonno di lavorare gratuitamente per una cooperativa. Lui si oppose e finì in galera, e proprio dalle sbarre arrugginite del carcere vide esplodere la Primavera di Praga, soffocata in pochi mesi dai carrarmati russi che schiacciarono sogni e speranze di liberà di quel popolo. Era il 1968 anno in cui il nonno in quella prigione alla fine ci morì, e qualche mese dopo se ne andò anche la nonna: per omaggiarli decise – lui, nato nel 1972 – che il “68” sarebbe stato per sempre il suo numero di maglia.

Negli anni a seguire la sua crescita diventa esponenziale, il suo talento innato si raffina, migliora la tecnica ma soprattutto lavora in maniera maniacale in allenamento: spesso si ferma su ghiaccio da solo, ora che l’uomo della rolba non può cacciarlo, e pattina con un giubbotto caricato con 20 chili di piombo per poi concedersi una lunga sessione di pesi prima della doccia.
Siamo nel 1989 e la “Rivoluzione di velluto” concede alla Cecoslovacchia qualcosa di più simile alla libertà così come la conosciamo, reintroducendo il sistema economico capitalistico, situazione che facilita il movimento di supervisori da oltre oceano.

Nella primavera dello stesso anno il telefono di un’abitazione poco fuori Pittsburgh in Pennsylvania suona in piena notte e la voce assonnata di chi risponde è quella del direttore sportivo dei Pittsburgh Penguins, mentre dall’altra parte del cavo a circa 7mila chilometri c’è il responsabile della delegazione di supervisori della squadra inviata in Europa in cerca di talenti. Hanno appena visto sul ghiaccio un giocatore dalle caratteristiche incredibili e chiedono il permesso di metterlo sotto contratto, il giorno stesso. Qualche mese dopo un volo Delta Airlines atterra al Pittsburgh International Airport e a bordo c’è Jaromír, primo giocatore cecoslovacco ad approdare sul suolo americano. Viene “draftato” dai Penguins come quinta scelta assoluta, situazione che gli vale una maglia – naturalmente la numero 68 – per la prima squadra. Nelle foto per la stampa sfoggia una camicia viola a righe dello stesso colore, ma più intenso; la cravatta gliela presta Ron Francis che si occupa anche del nodo che rimarrà lo stesso per tutte le occasioni ufficiali in cui la dovrà utilizzare.

Nella prima stagione gioca 104 partite collezionando 70 punti, fornendo il suo importante contributo alla vittoria della Stanley Cup, successo che si ripeterà l’anno successivo, in una squadra dove giocavano stelle del calibro di Mario Lemieux, Mark Recchi, Paul Coffey, Rick Tocchet e Ron Francis, che poi gli regalerà definitivamente quella cravatta.
Il suo cammino in NHL continua inanellando numeri impressionanti: la sua media punti parla di 10 stagioni chiuse sopra quota 100 vincendo per ben cinque volte l’Art Ross Trophy (assegnato al giocatore che segna più punti) con un record di ben 172 nella stagione 1995/96. Questo incredibile bottino lo colloca come il secondo migliore della storia con 1921 punti, dietro all’inarrivabile “The Great One” Wayne Gretzky che ne ha collezionati 2857.

Enorme il suo contributo anche in Nazionale, con la quale ha vinto due Mondiali ma soprattutto uno storico oro Olimpico nel 1998 proprio contro la Russia. La medaglia del metallo più nobile gli consente di entrare di diritto nel “Triple Gold Club” riservato a chi vince (almeno) un oro ai Giochi, un oro iridato e una Stanley Cup, club che ad oggi conta solo a 30 giocatori al mondo.

jaromir jagr
Un giovane Jagr da poco negli USA

In NHL oltre alla maglia dei Penguins ha vestito le casacche di Washington, N.Y Rangers, Philadelphia, Dallas, Boston, N.J Devils, Florida e Calgary, ma è tornato a giocare più volte in Europa. Oltre al suo Kladno durante lo sciopero in NHL, nel 2008 accettò di giocare per l’Avangard Omsk in Russia e pare che in questo caso il motivo fosse unicamente economico: a Jaromír piacevano molto le auto di lusso e la bella vita. La maglia numero 68 se la ricordano bene anche a Bolzano, dove grazie al lockout del 94/95 della National Hockey League, giocò 5 partite marcando 16 punti (8 gol e 8 assist), ma soprattutto contribuendo alla vittoria del Torneo 6 Nazioni per gli altoatesini.

E poi quel ritorno sul ghiaccio a 51 anni, per la sua 36a stagione professionistica con il Kladno che intanto si è comprato: sotto di 3-0 nella gara contro la capolista Pardubice entra sul ghiaccio e concede ancora una volta il suo contributo perché la sua squadra pareggia, anche se alla fine perderà 4 a 3, ma il numero 68 fa ancora la differenza.

In un’intervista qualche tempo fa ha parlato della sua carriera, e di quei primi anni in America, dove visse emarginato da tutto e da tutti: non capiva una parola d’inglese, non amava il cibo americano mentre il suo modo di vestire da ragazzo dell’est era motivo d’ilarità da parte dei compagni. Entrò in crisi piuttosto profonda, a tal punto da spingere il team ad acquistare un giocatore cecoslovacco, Jiri Hrdina, con cui almeno poteva paralre ed assaporare una forma rudimentale di Veproknedlozelo piatto tipico composto da maiale, canederli e crauti, innaffiati da birra Staropramen gelata. La situazione migliorò e ripresero anche le strepitose gesta del giocatore.
A Jaromír Jagr, una delle ali destre più forti della storia, manca solo una cosa, la consacrazione tra gli Dèi dell’Olimpo dell’hockey su ghiaccio, con l’ingresso nella Hockey Hall of Fame. Ma arriverà senz’altro.

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Pubblicato il 26 Febbraio 2024
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