Dal bosco di Castelseprio riemerge il “quartiere” del borgo
Dalla campagna di scavo dell'Università Cattolica, arrivata al sesto anno, sta emergendo non solo l'aspetto di singoli edifici, ma la struttura dell'abitato che stava fuori dalle mura del castrum, la zona più indagata del sito longobardo e basso medievale
Non una scoperta improvvisa, ma un lavoro lungo, anno dopo anno: così sta riemergendo il borgo di Castelseprio, dopo sei anni di campagne di scavo curate dall’Università Cattolica
Da non confondere con il castrum (l’abitato racchiuso e difeso da mura, con gli edifici principali), il borgo era invece la parte di villaggio che stava a ridosso delle cinta fortificata.
Quanto era ampio quel villaggio? È una domanda ancora aperta, a cui man mano si cerca di dare risposta con gli scavi archeologici. Anni fa si riconoscevano solo poche tracce, quasi cancellate dalla boscaglia cresciuta in sette secoli e passa. Ora però il lavoro estivo dei giovani archeologi sta svelando ogni anno un tassello in più: «Le campagne degli ultimi anni stanno facendo emergere man mano le case dell’espansione dell’abitato che stava fuori dalle mura» sintetizza il professor Marco Sannazaro, ordinario di Archeologia cristiana e medievale all’Università Cattolica e direttore dello scavo. «Le indagini ricostruiscono l’immagine di un quartiere intero».
Gli scavi della Cattolica quest’anno hanno ripreso l’indagine nella zona del borgo appena a Nord del ponte che un tempo dava accesso al castrum (all’interno del quale si scava invece nell’area della “casa medievale”, sul lato occidentale).
«Abbiamo completato lo scavo di una grande abitazione basso medievale, con tre vani e un cortile e muri circostanti e abbiamo individuato fasi precedenti», da indagare ulteriormente. L’immagine è quella di un edificio che – pur fuori dalle mura – ha una suo organizzazione spaziale precisa. Ma non è tanto – o non solo – il singolo edificio al centro dell’interesse: «L’aspetto più interessante della campagna di quest’anno è che abbiamo iniziato a ragionare sul quartiere del borgo» continua Sannazaro. «Questo villaggio che si estendeva all’esterno del castrum comincia a svelare le sue caratteristiche topografiche: un abitato piuttosto fitto, un viottolo, una serie di grandi abitazioni».
Già prima della distruzione del castrum nel 1287, il borgo fu devastato e gli abitati dispersi «con pianti e lamenti». Non dovevano essere poche case, se già allora era – appunto – qualificato come borgo, vale a dire (nella terminologia del Duecento) un centro dotato di alcuni servizi e una funzione d’incontro: a quei tempi, secondo Bonvesin de la Riva, il contado milanese contava una cinquantina di borghi in tutto, ognuno riferimento di un’area circostante più ampia.
Il borgo di Castelseprio, luogo di formazione dei giovani archeologi
Del borgo di Castelseprio, dopo la distruzione, a lungo non rimase altro che la sola chiesa di Santa Maria Fortis Portas, una delle nove chiese testimoniate sul colle (di cui solo quattro oggi riconoscibili, cui si aggiungono due a Torba).
Se il “Castelvecchio”, il castrum, rimase riconoscibile per i ruderi, il borgo è stato poi identificato solo a metà del Novecento da Mario Bertolone. A lungo gli scavi si sono concentrati sul castrum, ma appunto negli ultimi anni è aumentata l’attenzione anche per l’altra metà, quella fuori le mura.
Come ogni anno docenti e studenti della Cattolica hanno tenuto un momento di sintesi e restituzione alla comunità locale, negli spazi del museo al convento di San Giovanni: a salutarli e vedere i risultati della campagna c’erano la dottoressa Sara Masseroli e i sindaci di Castelseprio Silvano Martelozzo e di Carnago Barbara Carabelli. «Ai ragazzi va un grande plauso» ha esordito il sindaco Martelozzo. «Anche il clima non ha aiutato il loro lavoro, soprattutto in una delle aree di scavo più esposta al sole» (lo scorso anno era stata invece la pioggia a crear problemi).
Il professor Sannazaro ha ricordato come gli scavi abbiano un grande interesse scientifico – per l’acquisizione di nuovi dati – ma anche formativo, per far crescere professionisti della archeologia: «In sei anni abbiamo avuto la possibilità di vedere la maturazione di ragazzi che erano alle prime armi e l’acquisizione delle competenze».
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