I murales dell’ex Isotta Fraschini di Saronno
La rappresentazione del caso Regeni, volti, fiori e guerre sono solo alcuni dei temi rappresentati nei murales dipinti all'ex Isotta Fraschini di Saronno. In accordo con la proprietà, diversi street artist hanno infatti fatto tappa qui nei mesi scorsi
Un corpo insanguinato che guarda verso l’alto, come a voler gridare giustizia, con a fianco l’occhio della madre, distrutta dal dolore per la tragica scomparsa del figlio. È la rappresentazione dell’omicidio di Giulio Regeni, il 28enne ricercatore dell’Università di Cambridge rapito al Cairo e ucciso nel febbraio 2016 dai servizi segreti egiziani, in uno dei murales realizzato in uno dei vecchi muri dell’ex Isotta Fraschini di Saronno (la foto nell’immagine di copertina).
Quello dedicato alla tragedia di Regeni è solo uno dei tanti dipinti presenti in quest’enclave nella città, situata a due passi dalla stazione centrale, oggi oggetto di un complesso e articolato progetto di rigenerazione urbana.
Camminando tra ciò che rimane della vecchia fabbrica si trovano poi dipinti il volto di due fidanzati, fiori, occhi, mostri, la rappresentazione del cambio delle stagioni: si tratta di opere che hanno visto il coinvolgimento di street artist diversi, da Antonio Zolta, con i suoi coloratissimi graffiti, dove figure umane astratte si fondono ad elementi naturali, a Giorgio Bartocci, Tilf e Blackwan.
Oggi all’ex Isotta sono in corso le attività di abbattimento dei capannoni, a cui poi seguirà la bonifica dell’area che in futuro ospiterà un polo universitario, un polo museale, un parco e un giardino botanico. Dei murales, realizzati in accordo con la proprietà, non rimarrà quindi nulla.
A spiegare nascita e peculiarità dell’arte urbana è stata la giornalista e critica d’arte Clara Amodeo, in un’intervista rilasciata a Vivaio Saronno, il progetto che racconta la rigenerazione dell’area. «Il caso dell’ex Isotta Fraschini, nella relazione tra il privato e la comunità artistica, è un caso assolutamente unico. C’è infatti un privato che mette a disposizione degli spazi ad una comunità artistica, senza chiedere nulla indietro. È una condizione di perfetta relazione tra la proprietà e chi vi opera in maniera autonoma anche dal punto di vista della produzione, perché non c’è una linea di produzione imposta dal privato che dà a disposizione gli spazi».
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