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À Nous la Liberté

di Abramo Vane

Il racconto della domenica

Caro papà, voglio vivere, o morire, combattendo… come tuo nonno in Africa a El Alamein al grido di Folgore, come i partigiani fucilati dai nazisti, come i rivoluzionari di Zapata per un tozzo di giustizia, come i contadini russi lanciati senza fucile contro il nemico a Stalingrado, come gli spartani alle Termopili, come Giulio Cesare tradito, come tutti gli uomini che avevano casacche diverse, ideali diversi, patrie diverse, come tutti gli uomini che mi hanno preceduto nella storia dell’umanità, voglio vivere e morire da uomo libero.
Sono passato per regioni gialle, arancioni e rosse. Ho attraversato confini, e ti assicuro che non tutte le terre sono omologate, come dicono i mass media. Dove mi trovo adesso la mascherina non la mette nessuno, e se qualcuno mi ordinerà di metterla ho un coltello nello zainetto. Giorgio, il mio grande amico, è con me. Abbiamo deciso insieme, dopo un anno di video chiamate. C’è anche Anna, la sua ragazza. Invece Laura, la Lauretta che ti era tanto simpatica, così rispettosa dei genitori del suo ragazzo, lei non ce l’ha fatta, aveva le lezioni da seguire per l’esame di maturità. Non so come andrà a finire, una cosa è certa: l’aria è fresca, e questo mi basta. Il destino è già scritto, e l’aria è fresca.
Caro papà, ti lascio ai tuoi telegiornali, alle attenzioni per la famiglia, allo smart working, ai decreti ministeriali, ai virologi saputelli, ai giornalisti leccapiedi, ai politici in cerca di voti. Sappi che ti voglio bene, la tua voce mi accompagna sempre, e le tue parole (ce la faremo, speriamo speriamo, il vaccino ci salverà…) mi spronano e danno coraggio. Le ho qui nelle orecchie. Non tornerò indietro a risentirle dal vero. Ti chiedo solo un favore. Non parlare più di guerra, non dire che stiamo vivendo una guerra. A Dresda in soli tre giorni sono morti innocenti tre volte tanto quelli di un anno intero in Italia per presunto covid19. E poi tutti gli altri sessanta milioni, fra dolori e atrocità.
Ti ho apprezzato l’ultima sera quando ti sei commosso ricordando il tuo collega morto d’infarto perché all’ospedale non c’era posto, e il figlioletto della vicina che non vuole più vedere gli amichetti e vive con lo smartphone in mano, e tutta quella gente depressa, quei suicidi che nessuno racconta, quelle storie di miseria e disperazione, di violenza famigliare. Quando hai espresso il dubbio che il nostro amministratore di condominio s’è preso la leucemia a causa dello stato di debolezza che il terrore del virus gli ha procurato, io avevo già un piede sulla porta per uscire, e mi sono fermato. Tu però hai acceso la tele saltando da un talk show all’altro. In quel momento ho risentito la voce virile del padre di quando da bambino mi dovevano operare alle tonsille, Coraggio figliolo, non temere… e così la tua mano mi ha sospinto fuori dall’uscio, verso la vita. Ho raggiunto gli amici.
Vogliamo vivere!

Racconto di Abramo Vane (con un pensiero a René Clair e a Ernst Lubitsch)

TUTTI I RACCONTI DELLA DOMENICA

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Pubblicato il 21 Marzo 2021
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