Della Monica (PD Saronno): “Ricordare le lotte delle donne per l’emancipazione è un dovere nei confronti dell’umanità”
La riflessione di Michela Della Monica, membro del PD Saronno, sulla figura della donna nella storia e nella società, a due giorni dalle celebrazioni per l'8 marzo: "Finché non cambierà il modo di pensare, le parole rimarranno solo parole"
La riflessione di Michela Della Monica, membro del PD Saronno, sulla figura della donna nella storia e nella società, a due giorni dalle celebrazioni per l’8 marzo.
Ottomarzo perchè,
puoi studiare? Puoi decidere chi sposare e se sposarti? Puoi avere un tuo reddito e disporne? Puoi avere un figlio senza essere sposata senza che ti additino? Puoi decidere di interrompere una gravidanza non voluta? Puoi essere una madre single a testa alta? Puoi denunciare un partner che ti usa violenza? Puoi decidere di divorziare? Hai diritto di voto?
Per la stragrande maggioranza delle donne, la risposta è sì e lo dobbiamo a chi ha lottato per raggiungere questi traguardi. Uomini, ma soprattutto donne, che insieme e con determinazione hanno portato avanti una battaglia durata oltre un secolo.
Ma quante ragazze, quante donne ancora pensano che il loro asso nella manica sia trovare un uomo che le mantiene, quante sono ancora pronte a vendersi, pur nell’egida di un matrimonio, per una tranquillità economica o un riconoscimento sociale? Quante ancora confondono il loro corpo con il loro essere (beh, in fondo il potere di una donna non sta solo lì…?), e ne fanno una risorsa per ‘giocare bene le proprie carte’?
Da ragazzina, l’8 marzo era per me un momento in cui rimanevo male se un uomo non mi regalava la mimosa, come se non considerasse il mio valore in quanto donna. Ma, forse per i condizionamenti culturali, non capivo bene cosa significasse essere donna. Andando avanti negli anni, ho talvolta negato la mia femminilità, rifiutando tutti quei tratti caratteristici femminili che mi sembravano più una debolezza che altro.
Vogliamo la parità, mi dicevo, ripetendo un discorso maschilista, bene, dobbiamo essere come i maschi. Mi sembrava addirittura ingiusto che si festeggiasse un giorno della donna, mentre non si festeggiava un giorno dell’uomo. Oggi, dopo oltre mezzo secolo di vita, di fronte agli ennesimi femminicidi, alle violenze, alle discriminazioni di genere ancora presenti e al qualunquismo dilagante, mi sento di dire qualche parola.
La donna è stata espulsa dalla storia per secoli pertanto mantenere vivo il ricordo delle lotte fatte per l’emancipazione mi sembra un dovere nei confronti dell’umanità. Emanciparsi, come si legge nei vocabolari, significa liberarsi, sottrarsi a una soggezione, a una dominazione, a una condizione subalterna. E infatti, tanto per gli schiavi, quanto per la donna, è stato così.
La prima traccia di un giorno della donna risale al 1908 quando un gruppo di donne, in mancanza del solito oratore uomo che teneva gli incontri al teatro Garrick di Chicago, si riunisce per parlare di temi sentiti, la dipendenza economica e, soprattutto, il diritto di voto. Già con la rivoluzione industriale, quando le donne diventano parte attiva della forza lavoro, seppure sottopagata, esse cominciano ad avere coscienza di essere state e di essere discriminate e nasce la volontà di conquistare i diritti di cittadinanza a loro negati.
Il movimento suffragista inglese è forse l’esempio più noto della battaglia pacifica intrapresa da donne coraggiose che venivano spesso derise, incarcerate, nutrite a forza quando facevano lo sciopero della fame per protesta. Le loro richieste perennemente ignorate dalle autorità spinsero Emily Davison a gettarsi sotto il cavallo di re Giorgio V, durante una parata, al grido “Voto alle donne”. Davison morì il giorno dopo.
Sempre in quegli anni, per superare le divisioni politiche che i partiti imponevano, non vedendo di buon occhio la cooperazione tra donne di diverse classi sociali, alcune donne si organizzarono in club, borghesi e proletarie insieme, arrivando a fondare una rivista The Socialist Woman, e si pensò di festeggiare il giorno della donna l’ultima domenica di febbraio.
Nel frattempo, nel 1910 a Copenhagen, questa necessità di fare emergere l’urgenza della questione femminile, porta le donne a riunirsi in un incontro separato prima della Conferenza Internazionale Socialista.
Scoppia la prima guerra mondiale, sfinite dalla fame, a Pietrogrado, le donne scendono in piazza a protestare, vogliono cibo, vogliono i loro mariti indietro. Nel 1921 a Mosca si tiene la seconda conferenza delle donne comuniste, viene proposta una data per tutti i paesi in cui festeggiare la donna, primo obiettivo tra tutti il riconoscimento del diritto di voto. Il 23 febbraio è la data prescelta, secondo il calendario giuliano, che corrisponde all’8 marzo del calendario gregoriano.
Scoppia la seconda guerra mondiale.
Il primo 8 marzo storico in Italia è nel 1945 quando la guerra non era ancora completamente finita. Le donne chiedono pace, parità di diritti. Si deve attendere fino al 1948 per vedere altre donne dell’Unione Donne Italiane, manifestare con cartelli che invocano alla pace e alla democrazia. L’8 marzo1972 a Roma, le femministe scendono in piazza, un ulteriore tentativo di dare visibilità a quell’ autocoscienza maturata nei decenni e che ora attendeva una forma.
C’è bisogno di comunicare tra noi, di educare per favorire la consapevolezza di sé, dei propri diritti e doveri. Ci si indigna per il razzismo, si studia la segregazione, l’apartheid, ma delle donne non c’è scritto sui libri di storia. Donne madri, partigiane, professioniste, donne a cui costa il doppio riuscire ad ottenere ciò che per molti uomini è normale. Donne sole, anche in famiglia, spesso troppo stanche anche solo per pensare. Tanto meno a se stesse e alla propria realizzazione.
Ritorno alle donne e agli uomini che hanno permesso una nuova consapevolezza, che si sono battuti per l’emancipazione. Una scelta difficile, spesso rischiosa, ma che l’unione nell’ideale di perseguire qualcosa di giusto, ha reso possibile. Forse i tempi erano più propizi, forse la società non era così annichilita dal consumismo, dalla tecnologia, in un ebetismo diffuso dilagante. Comunque, grazie alle lotte di queste persone, oggi abbiamo raggiunto diritti che prima sembravano irraggiungibili.
Che cosa ha fatto la differenza? La comunione di intenti, la determinazione, il dialogo, il sostenersi a vicenda. Dunque, incoraggiamo il dialogo tra donne, tra donne e uomini. Avviciniamoci, superiamo l’apatia, l’interesse personale, sentiamoci parte gli uni degli altri. Conosciamoci. Ci riguarda! Le ingiustizie ci riguardano, e possiamo fare qualcosa. In merito alle donne, c’è ancora da fare, mi riferisco a temi quali lavoro, pari opportunità di istruzione, accesso alle carriere, tutela della maternità, in Italia e nel mondo. Queste voci sono menzionate nella nostra Costituzione, ma finché non cambierà il modo di pensare, rimarranno solo parole.
Michela Della Monica
PD Saronno
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