Quantcast

L’alleanza tra pubblico e privato salva il venture capital dalla pandemia

I capitali privati e quelli di Cassa depositi e prestiti hanno permesso al settore di superare i primi sei mesi difficilissimi del 2020. Il rapporto Venture capital monitor di Aifi e Università Liuc

Economia generiche

Per quanto sia in continua crescita, l’ecosistema del venture capital italiano, se paragonato a quello di altri paesi europei, è ancora piuttosto fragile e residuale. Per la prima volta però, durante la pandemia, il Paese che non ama l’innovazione si è accorto di quanto sia strategico e necessario, per rimanere competitivi, investire nelle startup innovative e nella ricerca. È stata infatti l’azione congiunta di capitali pubblici e privati a permettere al venture capital italiano di fronteggiare un anno orribile e mantenere nel 2020 il volume degli investimenti, pari a 595 milioni di euro, praticamente in linea con l’anno precedente (597milioni di euro), spalmati su 234 operazioni tra investimenti iniziali e di consolidamento. (Foto di Tumisu da Pixabay)

La fotografia scattata dal rapporto Vem, Venture capital monitor, realizzato da Aifi (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) e Università Liuc, fa intravedere una prospettiva positiva anche per il 2021. «Cassa depositi e prestiti e governo hanno fatto passi significativi nel finanziamento dell’innovazione – ha detto il presidente di Aifi, Innocenzo Cipolletta -. In questo settore pubblico e privato devono procedere insieme, come accade in tutti i paesi del mondo, perché siamo nella frontiera della ricerca. La ricerca di base, non profit e pagata da tutti noi, permette a sua volta la nascita di processi di carattere innovativo» .

I NUMERI DEL RAPPORTO

Giovanni Fusaro, ricercatore dell’Ufficio studi di Aifi, ha illustrato i dati principali del rapporto Vem. Dopo i primi sei mesi del 2020 passati in apnea, a partire da giugno, il venture capital italiano ha ripreso a macinare operazioni, 234 (+58%) tra investimenti iniziali (initial) e di consolidamento (follow on), per un ammontare totale di 595 milioni di euro. «La seconda parte del 2020 ha mostrato una accelerazione dell’attività, chiudendo l’anno con un incremento dei deal initial pari al 65% rispetto al 2019. Questo dimostra come l’attività di venture capital non si è fermata» ha commentato Anna Gervasoni, professore dell’università Liuc e direttore di Aifi.

«Se si guarda ai flussi di investimento verso startup con sede in Italia – ha aggiunto Fusaro – si osserva un aumento importante dei flussi degli investitori domestici che passano da 223 milioni a 384 milioni. Aumentano anche gli investimenti provenienti da investitori esteri che passano da 119 milioni a 159 milioni».

UN ECOSISTEMA CHE RISHIAVA DI SPARIRE

Il rischio che la pandemia travolgesse il venture capital italiano è stato grande. Guido De Vecchi, direttore generale di Intesa Sanpaolo Innovation Center, durante la presentazione ha parlato di «anno difficilissimo per un piccolo ecosistema che rischiava di sparire nell’arco di poche settimane e che invece sta crescendo tra luci e ombre».

Tra le luci, secondo De Vecchi, c’è sicuramente l’azione dell’asse pubblico-privato che ha rianimato un settore con incentivi fiscali, con l’intervento di Cassa depositi e prestiti attraverso Cdp Venture Capital sgr e il sistema dei capitali privati che hanno permesso di superare la prima parte del 2020. «Il feedback di Intesa Sanpaolo è positivo – ha detto De Vecchi – Siamo un player importante e significativo: abbiamo fatto investimenti, Italia su Italia, per 40 milioni, superiore al 2019 e mediamente più del dieci per cento del mercato italiano».

Parlare di futuro del venture capital, significa disegnare scenari che devono necessariamente tenere conto del nuovo ordine mondiale, a partire dalla contesa per la leadership tecnologica tra America e Cina, in particolare per l’intelligenza artificiale e più in generale per le tecnologie digitali, su cui c’è un ritardo decennale dell’Europa. A questo si aggiunge la Brexit. «I 1700 miliardi di euro presenti sui conti correnti italiani – ha concluso il direttore di Intesa Sanpaolo Innovation center – devono andare in buona parte nelle attività che hanno buone prospettive di crescita. E l’Italia è un Paese che in tutti i suoi territori ha moltissime potenzialità».

IL RUOLO DEL BUSINESS ANGEL E L’EFFETTO FILIERA

Secondo Paolo Anselmo presidente di Iban (Associazione italiana business angel), nel risultato dell’anno appena passato c’è stato «un effetto filiera soprattutto per l’early stage», cioè per quelle startup che si trovano ancora in una fase di perfezionamento del loro prodotto. «Gli investimenti singoli – ha sottolineato Anselmo – sono arrivati a quota 50 milioni per un totale di 96 deal. Per quanto riguarda l’effetto filiera, le operazioni di coinvestimento che vedono coinvolti business angel insieme ai fondi sono diventate 210, mentre nel 2019 erano 140».

La media dell’investimento è di 50mila euro per ogni singola operazione e le startup rappresentano ormai quasi il 60%. «C’è una certa tendenza a salire di livello e una grossa crescita che proseguirà nel 2021 per l’effetto sistematico del decreto rilancio» ha concluso Anselmo .

LA GIUSTIZIA ITALIANA NON AIUTA IL VENTURE CAPITAL

Tra le ombre dell’ecosistema del venture capital italiano c’è il costo della sovrastruttura, che comprende i costi legali. L’avvocato Pierluigi De Biasi, nel commentare il rapporto Vem, usa volutamente un termine vetero marxista, riconoscendo però al legislatore il merito di aver introdotto negli ultimi 15 anni una serie di semplificazioni giuridiche sui costi dell’impresa. Queste  però sono solo una parte del problema. «L’altra è l’arretratezza della giustizia italiana- ha spiegato De Biasi – . Mentre tutti possono fare una startup innovativa senza andare dal notaio e a costo zero, noi dobbiamo andare in tribunale con costi sia per l’impresa che per il Paese. È ancora un’alba medievale dove si usano gli stessi riti degli antichi romani».

De Biasi, per azzerare i ritardi strutturali e culturali del sistema, spera nelle nuove tecnologie. Un processo di innovazione che l’associazione diretta da Anna Gervasoni pratica da quando è nata. Osserva De Biasi: «È curioso che la macchina dell’Aifi sia sempre stata gestita da una signora, in un settore dove le donne sono pochissime».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it
Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.
Pubblicato il 26 Febbraio 2021
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore