Quando Varesenews andò ad Haiti
Nel 2013 seguimmo per tre settimane alcuni volontari di Abbiate Guazzone che stavano aiutando a costruire l'acquedotto (e molto altro) in uno dei posti più poveri del mondo. Un viaggio narrato sul blog "Verso Haiti"
Cosa c’è di più “glocal” che raccontare una piccola comunità locale che va dall’altra parte del mondo per costruire un acquedotto nel paese più povero del mondo? È questa la domanda che ci siamo posti quando abbiamo deciso di andare ad Haiti per raccontare quanto stavano facendo i volontari della comunità di Abbiate Guazzone, frazione di Tradate.
Era il 2013, pochi mesi dopo la prima edizione di Glocal. Avevamo scritto qualche articolo sui volontari del paese di Abbiate che, in diverse misure, supportavano l’attività missionaria di Don Giuseppe Noli e don Mauro Brescianini, preti che avevano prestato negli anni il loro servizio proprio ad Abbiate e che in quel periodo stavano operando come missionari sull’isola.
IL BLOG “VERSO HAITI”
E così, con la voglia di andare a vedere con i nostri occhi come agivano questi volontari, ci siamo preparati per qualche mese, abbiamo seguito le loro riunioni ad Abbiate, li abbiamo conosciuti meglio, e siamo partiti con il primo gruppo disponibile che, a proprie spese, si era organizzato per andare a Mare Rouge, la cittadina dove operavano don Giuseppe e don Mauro. Da molti mesi stavano aiutando a costruire un acquedotto per portare l’acqua nella cittadina a nord dell’isola. Questo acquedotto, oltre a portare l’acqua in salita dalla valle, permetteva anche ai bambini di andare a scuola. Come? Grazie a quell’opera non c’era più bisogno che si alzassero all’alba per andare a riempiere le taniche di acqua per la giornata. Ma non era l’unico vantaggio. Con il tempo, grazie alla presenza di questi volontari, sono nati anche altri progetti: la costruzione di una scuola, la luce con i led nelle case, alimentata con piccoli pannelli solari, allungava le giornate nelle case, il medico nell’ambulatorio locale andava a ricevere tutti i giorni con persone che partivano all’alba per incontrarlo. E molto altro che è nato col tempo.
Tornando al nostro viaggio, siamo partiti a fine agosto del 2013. Ricordo che prima di partire scrissi una mail a Don Mauro, che si trovava già ad Haiti, elencando in una “scaletta” quello che avrei voluto fare giorno per giorno, per costruire un racconto di quello che veniva fatto. Avevo voglia di raccontare, di fare, di dare il mio contributo, di portare la mia esperienza giornalistica locale a servizio di quella realtà. Ma avevo fatto male i conti. Lui, senza mezzi termini, mi rispose candidamente: “Questa non è una scaletta, è uno scalone presidenziale”. E aggiunse un avvertimento: “Devi tenere conto che qui il tempo non è calcolato e percepito come in Italia“. Naturalmente all’inizio non capii cosa volesse dire. A questo si aggiunse il consiglio del direttore di Varesenews: “Quando arrivi, aspetta, osserva, non fare nulla all’inizio“. Ma anche in questo caso, dissi di sì, ma non capii veramente.
Partimmo qualche giorno dopo. Per me, che andai con il gruppo di volontari, a pensarci oggi fu un vero frontale con la realtà, senza altri termini. Viaggio in areo con due cambi, per un totale di quasi 16 ore. Arrivo all’aeroporto di della capirla Pourt-A-Prince, poco più grande di quello di Venegono Inferiore, ma immerso nelle baraccopoli. Al nostro arrivo ci attendeva una Jeep che ci avrebbe portato a Mare Rouge, ma io dovevo fare le schede telefoniche per poter effettuare il mio racconto (mi serviva la connessione dati e avevamo solo il 3G). “Muoviti” mi dissero “non possiamo arrivare col buio che la strada diventa pericolosa“. Il viaggio sulla Jeep durò 8 ore, su strade sterrate e guadando anche piccoli torrenti. Per chi soffre (o soffriva) di auto, fu una vera tortura. Ma sulla strada incontrammo anche un’arcobaleno che abbracciava tutto l’orizzonte. Era la porta di un altro mondo.
Mi risvegliati il mattino dopo nella stanza che mi era stata riservata e notai subito che c’era una finestra. Senza vetri o infissi. Non servivano. Solo un buco. Dalla porta entrò uno dei volontari e senza salutarmi mi disse: “Tutto bene? Ti conviene staccare il letto dal muro”. Perché? “Così i compagni di stanza non salgono nella notte”. Intendeva ragni, lucertole, che era meglio non cacciare o uccidere: aiutavano a tenere lontane le zanzare.
Ognuno dei volontari, con le proprie competenze, aveva il compito di dare il proprio contributo alla sistemazione dell’acquedotto che ha permesso di portare l’acqua in paese. Un progetto che andava avanti da anni e col tempo è diventato anche sinonimo di istruzione. Infatti, i volontari di Abbiate, avevano una peculiarità: non si recavano a costruire, ma a insegnare come costruire. Era la scuola di pensiero di don Giuseppe Noli. Intanto, io avevo con me tutta la mia attrezzatura fotografica e video: cavalletto, macchinata fotografica, microfono, stabilizzatore, luci. Insomma un borsone enorme. Tutto per fare al meglio il mio lavoro. Così pensavo.
Però, fin da quel primo giorno capii subito cosa aveva voluto dirmi don Mauro: la mole di attrezzatura che avevo al seguito spaventava le persone del posto, le domande non venivano capite, sembrava di essere quello che invadeva la privacy altrui in maniera irrispettosa e indelicata. Loro non avevano alcun bisogno di me. Ci impiegai qualche giorno a trovare la giusta linea anche grazie a don Giuseppe che una sera mi disse: “Domattina vado a dire messa alle 8 a Kot de Fer”. Ok, a che ora ci vediamo? “Alle 5.30 partiamo”. Senza jeep? “No, a piedi”. Dovetti riconsiderare tutta l’attrezzatura che mi portavo dietro, limitando tutto all’indispensabile. Naturalmente dimenticai l’acqua. Fu una delle giornate più belle, perché sul sentiero incontrammo le persone che man mano si aggregavano a don Giuseppe per chiacchierare, per scambiare due parole, oppure i bambini che andavano a scuola facendo l’ora di cammino, o quelli che andavano a prendere l’acqua con le taniche vuote.
Proseguii così il racconto di quei giorni attraverso il blog Verso Haiti. Naturalmente lo “scalone presidenziale” divenne subito carta straccia. Ma nelle tre settimane che sono rimasto con i volontari, abbiamo raccontato molto, fino a conoscere anche i ragazzi del posto. Alla fine erano loro che mi prendevano l’attrezzatura e che facevano le foto. Ma non solo, negli ultimi giorni, mi sono ritrovato anche in cima alla chiesa di Mare Rouge, con uno dei volontari, entrambi abbracciati a un trabattello a 15 metri di altezza, con l’obiettivo di grattare e ridipingere la grande croce. Non c’entrava nulla con la “scaletta” e quello che volevo raccontare? Vero, ma anche no. C’entrava con il concetto di come scorre il tempo ad Haiti, con il fatto che si deve conoscere un posto per poterlo raccontare. C’entrava per il semplice motivo che in quelle tre settimane avevo vissuto e narrato qualcosa di totalmente nuovo e sconosciuto. Anche questo fa parte del concetto di giornalismo, di narrazione, e di vivere, cresciuto negli anni a Varesenews.
Di seguito alcuni dei video realizzati in quelle tre settimane
In due minuti Don Mauro ha spiegato ai ragazzi di Mare Rouge la mia presenza, ha sintetizzato con semplicità e chiarezza quello che nel resto del mondo abbiamo a chiamato “Glocal“, tra globale e locale.
Il primo giorno in ambulatorio:
La rivoluzione della luce nelle case di Mare Rouge:
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