Figli dei geni o delle nostre scelte?
Nel romanzo di Barbara Boggio, La seconda legge di Mendel, il palcoscenico si popola di diversi protagonisti e si avverte un anelito di speranza e fiducia verso il futuro
Quanto contano i fattori ereditari nelle nostre vite? Quei tic, quelle pose, le rigidità, i tratti del carattere, insomma quel nostro modo di essere è figlio dei geni o delle nostre scelte? Ce lo saremo chiesti spesso e le risposte non sono semplici.
Per il suo nuovo libro Barbara Boggio il titolo lo prende in prestito dalla scienza. La seconda legge di Mendel, divergenze editore, è un romanzo breve che racconta la vita di una famiglia allargata, come la si chiamerebbe oggi.
Al centro c’è Jordan con “i suoi sedici anni e poche certezze. Nella fatica dell’adolescenza si confronta con il mondo degli affetti e le proprie origini, per capire se la mela è caduta più o meno lontana dall’albero, dove germogliano riscatto e possibilità”.
Un riscatto che nasce dalla cura e dalla responsabilità che Daniela, la mamma di Jordan, mette al primo posto in ogni sua scelta. Nelle pagine iniziali c’è un passaggio che lascia intendere molto lo stile del libro. In uno dei classici momenti di crisi del proprio bambino ancora piccolo, la giovane donna trova un espediente per valorizzarlo senza doverlo sgridare. Un gesto che fa comprendere l’abilità dell’autrice, che nella vita è pedagogista, nel raccontare cosa sia un intervento educativo.
Le parole di Barbara Boggio sono semplici e accurate al tempo stesso, come la vita che scorre per i protagonisti del suo libro. La scuola, i lavori, la fratellanza, le difficoltà e le gioie nelle relazioni vengono raccontate con cura.
Lo sguardo dell’autrice è pieno di calore per i personaggi che popolano le storie. La sua ironia accompagna passaggi che riguardano soprattutto il suo alter ego, Daniela. Una donna che sa rivedere le proprie scelte perché “a distanza di anni ho capito che era solo un problema di autostima, allora però non mi sentivo a mio agio nel corpo, morbido senza essere eccessivo ma che non rifletteva l’esigenza interiore, un sentire rappresentato da una donna magra, energica, nervosa”.
La seconda legge di Mendel più che concentrarsi sui caratteri ereditari, indaga sulle identità dei protagonisti con le possibilità del cambiamento quando ognuno, a modo suo, riesce ad alzare lo sguardo e tenere aperte le porte delle emozioni e della ricerca interiore.
È un racconto sulle relazioni e la vita quotidiana, uno sguardo sul mondo partendo da un microcosmo popolato da una bambina, un ragazzino che cresce e vive ogni genere di crisi, gli adulti che non smettono di interrogarsi sulla propria esistenza e quella dei loro affetti. Le domande di Jordan non sono solo quelle di un adolescente inquieto, come si è alla sua età, appartengono un po’ a tutti. L’esistenza è fatta di fatica, e il benessere non è una concessione, ma una conquista come si legge nelle parole del libro perché “bisogna traversare la sofferenza per godere della gioia”. Una sensazione che ben conoscono gli alpinisti. “Sono salito fin lassù per guardare meglio dentro me stesso”, scriveva Reinhold Messner di ritorno dalla prima ascesa sull’Everest.
Gli ottomila dei personaggi di Barbara Boggio non sono le insidie delle montagne, ma la capacità di vivere sempre le relazioni, anche quando sembra che qualcosa possa pericolosamente deragliare.
Nel suo primo libro, Per tentativi ed errori, l’autrice ci aveva portato dentro la vita quotidiana dandoci piccoli e veloci affreschi. Con La seconda legge di Mendel il palcoscenico si popola e si avverte un anelito di speranza e fiducia verso il futuro.
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