Saronno, un’infermiera della terapia intensiva racconta la fatica e la sofferenza
Filomena lavora nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Saronno. A marzo ha assistito centinaia di pazienti: uno di loro, Giovanni Brambilla, l’ha ringraziata in un’intervista
È stata ringraziata pubblicamente da uno dei tantissimi pazienti che ha assistito nei mesi terribili di marzo e aprile, ora è pronta a ricominciare a lottare in corsia.
Filomena Ferraiuolo è una delle infermiere che lavora nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Saronno. A marzo ha assistito parecchi pazienti, arrivati a Saronno da tutta la Lombardia in un ospedale messo sotto pressione dall’emergenza Covid.
Uno di loro, Giovanni Brambilla, 66 anni, paziente di Trezzo sull’Adda rimasto in ospedale a Saronno per diverse settimane a causa del virus e delle sue terribili conseguenze, l’ha ringraziata in un’intervista su La Settimana e La Gazzetta del’Adda, riconoscendone la professionalità e la sensibilità.
Oggi, a sette mesi di distanza e con l’incubo del contagio sempre più incombente, l’infermiera ha pubblicato una lettera su Facebook, sulle pagine dedicate all’ospedale saronnese, per raccontare il proprio punto di vista e le proprie sensazioni in un momento nuovamente complicato:
Era il 19 marzo. Pomeriggio. Inizio il turno con la testa piena di mille preoccupazioni. Il mio cuore si divide tra casa, dove mia mamma è in un letto al termine della propria vita, e il reparto dove come al solito in questo periodo siamo pieni di pazienti complicati. Prendo consegne. Mi bardo con precisione ed attenzione come oramai ho imparato a fare. Entro nel box del paziente che, per fortuna va bene. E’ in respiro spontaneo e parla. Fa i capricci, non vuole collaborare. Allora gli prometto, in cambio della sua collaborazione, una videochiamata con la sua famiglia che non vede da tempo. Si illumina e, dopo aver assolto a tutti i suoi piccoli “doveri” di bravo paziente, ci prepariamo per la video chiamata. Saronno chiama Bergamo. Il telefono squilla e sul video compare il viso della moglie che eccitata e piena di gioia chiama a raccolta tutti e due i figli di quest’uomo. Scorrono tante lacrime di felicità, parole di conforto e promesse di ritrovarsi presto insieme. Poi, al termine di tutto, il paziente e la moglie mi ringraziano. Oggi è la festa del papà e i figli, che non speravano di poter vedere il loro padre, sono felicissimi. Siamo tutti più felici in mezzo a questo mare di brutte notizie. Accidenti, mi commuovo. Le lacrime scendono anche dai miei occhi ma non posso piangere. Se piango mi si appannano gli occhiali e devo uscire, svestirmi e rivestirmi perché mi strofinerei il viso. Penso a mia mamma a casa ed in fin di vita. Penso a questa famiglia riunita anche solo per cinque minuti. Penso a me e penso di essere stanca, spesso triste, a volte disarmata e sempre preoccupata per la mia famiglia. Ho capito che la giornata di oggi mi ha regalato un momento di felicità. Domani, sono sicura, andrò ancora ed ostinatamente alla ricerca di questo momento di felicità che rende le mie giornate degne di essere vissute.
Oggi è il 26 ottobre. Dopo qualche mese di relativa calma mi ritrovo ancora nella situazione che ho descritto. Mia mamma non c’è più. Io ricomincio come tre mesi fa a vestirmi da astronauta e faccio il mio lavoro. La differenza? Sono stanca come molti dei miei colleghi. Sono arrabbiata. Sento commenti negazionisti dappertutto. Vorrei solo che quelle poche regole che abbiamo imparato in quei giorni fossero state rispettate in questi mesi di quiete prima della tempesta. Forse ora non saremmo in questa situazione. Forse oggi io non dovrei ancora vestirmi così.
Filomena
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