I 90 anni di Liliana Segre: l’Olocausto, Auschwitz e la Commissione contro l’odio
Liliana Segre, che oggi compie 90 anni, da trent'anni testimonia gli orrori della Shoah, è senatrice a vita e a capo della commissione contro il razzismo e l'antisemitismo
La senatrice a vita e testimone dell’Olocausto Liliana Segre oggi, giovedì 10 settembre, compie 90 anni.
Nata a Milano nel 1930, Liliana Segre rimane orfana di madre – Lucia Foligno – quando ha un anno e mezzo. La sua è un’infanzia costellata di gioie e dall’affetto del suo amato padre, Alberto Segre, fino a quando le leggi razziali promulgate nel 1938 dal regime fascista travolgono la sua vita, sconvolgendola per sempre: la bambina viene espulsa dalla sua scuola elementare. In quel momento, come spesso ha raccontato nelle sue testimonianze scritte e orali, scopre di «essere ebrea», dato che la sua famiglia è laica.
LA FUGA IN SVIZZZERA E LA DEPORTAZIONE
Dalla discriminazione la famiglia Segre è vittima della persecuzione nazi-fascista – «per la sola colpa di essere nati», come spesso sottolinea quando ne ha parlato nelle interviste o durante delle testimonianze nelle scuole – quando dopo l’8 settembre 1943 si cerca di deportare tutti gli ebrei italiani nei campi di concentramento. Liliana e il padre tentano di fuggire in Svizzera, passando proprio dal Varesotto, con dei documenti falsi.
«Ho provato sulla mia pelle cosa significa essere una clandestina. Con i documenti falsi. Oggi, quando sento parlare di clandestinità, queste cose mi tornano in mente. Io lo sono stata, con mio padre avevamo dei documenti falsi perché cercavamo di fuggire alla persecuzione. E sono stata una richiedente asilo. So cosa significa essere respinta quando pensi di essere salva. […] Io avevo tredici anni, e lì mi sentii perduta. La nostra fuga era finita. Io so cosa significa essere respinti. Perdere in un attimo tutta la speranza»
– Scolpitelo nel vostro cuore, a cura di Daniela Palumbo, Piemme editore
Una volta respinti e catturati, padre e figlia vengono portati in carcere a Varese, a Como e a Milano (San Vittore), l’ultima loro casa. In quei giorni di prigionia, gli ultimi condivisi insieme, Alberto Segre, in preda alla disperazione e all’impotenza, chiede perdono alla sua amata Liliana per averla messa al mondo e per non essere riuscito a salvarla.
Nel gennaio 1944 i due partono dal Binario 21 di Milano verso il lager di Auschwitz-Birkenau, in Polonia: sono gli ultimi momenti che trascorrono insieme. Le loro mani vengono separate dai soldati durante la prima selezione, e, pian piano, si perdono di vista: «L’ultima volta che vedo mio padre», raccontava durante le testimonianze.
«Nessuno dei due voleva far vedere la disperazione dell’altro, soprattutto io. All’inizio lo salutavo da lontano, ma poi lui scomparve dalla mia vista, lo cercai tanto, ma non lo vedevo più. Quel ricordo è eterno dentro di me. La spianata bianca come la neve. Udire quel comando: uomini a destra e donne a sinistra. Io che perdo la mano di mio padre. Fu il mio ultimo istante con lui».
A tredici anni inizia a lavorare in una fabbrica di munizioni all’interno del campo; al braccio ha tatuato il numero 75190. Ci rimarrà fino al 27 gennaio 1945, quando l’Armata Rossa entra nel lager e scopre l’orrore perpetrato dai nazisti sui detenuti, compiendo ogni giorno la scelta di vivere, nonostante la sofferenza e l’umiliazione subite per oltre un anno e mezzo. Tornerà alla sua vita di Milano a piedi, come Primo Levi, affrontando «una gamba davanti all’altra» la “marcia della morte” imbastita dai suoi carnefici, in fuga dai russi.
Tornata a Milano l’aspetta un’adolescenza dura e ribelle, senza essere compresa da chi la circonda.
LA TESTIMONIANZA E LA NOMINA A SENATRICE A VITA
Per quasi cinquant’anni Segre tiene per sé l’esperienza dell’Olocausto e il lutto per il padre e i nonni. Alberto Segre muore il 27 aprile 1944 e i nonni vengono uccisi nelle camere a gas al loro arrivo ad Auschwitz, dopo essere stati arrestati a Inverigo il 18 maggio 1944.
Poi qualcosa scatta dentro di lei alla nascita del suo primo nipote, nel 1990, e inizia a raccontare la Shoah nelle scuole, davanti a quelli che lei ama definire «i miei nipoti ideali». Parlare della Liliana tredicenne in quel campo di sterminio per lei vuol dire aprire, ogni volta, uno squarcio della sua vita: diventare narratrice di sé stessa e rievocare il suo dolore passato. Uno squarcio necessario, però, per passare il testimone e far diventare candele della memoria chiunque ascolti la sua ruvida ma limpida testimonianza.
Il 27 gennaio di ogni anno, insieme a molte classi milanesi, testimonia gli orrori del passato al Binario 21, in Stazione Centrale. Diversamente da altri superstiti non è mai tornata al campo di concentramento, dove ha perso la sua famiglia, perché il dolore sarebbe insostenibile. Dopo trent’anni di testimonianza, lo scorso gennaio, prima della pandemia del Covid-19, Segre ha annunciato che avrebbe interrotto gli incontri con gli studenti.
Il 19 gennaio 2018 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’ha nominata senatrice a vita, mentre dal 30 ottobre 2019 è alla guida della Commissione contro il razzismo e l’antisemitismo. La sua presenza in senato, oltre a essere monito vivente della nostra storia recente, è un baluardo contro ogni tipo di discriminazione.
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