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Biotecnologie e futuro: Insubrias Biopark e Università chiedono di più

È la settimana europea delle biotecnologie, settore altamente strategico per l'economia. Con cinque parchi tecnologici che ospitano 25 imprese biotech, la Lombardia è la regione con più incubatori di impresa in Italia. I problemi però non mancano a partire dal costo dell'energia fino alla burocrazia asfissiante

Guarire le cellule colpite dal morbo di Parkinson, curare i malati affetti dalla sclerosi multipla e dalle malattie cardiovascolari, rallentare gli effetti devastanti del cancro e delle malattie rare. Lo sviluppo della biotecnologie, in particolare nel settore farmaceutico, avrà implicazioni notevoli sulle nostre vite. 
In occasione della settimana europea delle biotecnologie, cerchiamo di fare il punto della situazione.
La Lombardia secondo il rapporto 2013 di Ernst & Young, si conferma la regione con il settore industriale più dinamico del Paese. Grazie alle sue università e ai suoi centri di ricerca pubblici e privati, riesce a fornire nuova linfa alle 126 imprese attive nel comparto biotech presenti sul territorio. Un ruolo di primo piano lo svolge in tal senso la Fondazione Regionale di Ricerca Biomedica (FRRB) che promuove la ricerca e lo sviluppo di nuove competenze scientifiche. Con cinque parchi tecnologici che ospitano 25 imprese biotech, la Lombardia è la regione con più incubatori di impresa in Italia. Ma non tutto ciò che luccica è oro.
Nonostante sulla carta l’Italia sia il terzo paese europeo per fatturato e numero d’imprese biotech, riusciamo a sfruttare solo il 28% dei fondi stanziati dalla Comunità europea per ricerca e sviluppo tecnologico (oltre 27 miliardi di euro). Non va meglio per l’accesso al credito delle piccole e medie imprese biotech. Stesso discorso per le start-up e le micro imprese che vedranno utili effettivi solo dopo alcuni anni.
Dall’altra parte è ancora poco sviluppato il settore del venture capital, i capitali di rischio per le imprese innovative, quelli che, per intenderci, hanno fatto la fortuna di grandi aziende americane come Facebook  e Google. Eppure un recente studio del Politecnico di Milano dimostra come un investimento di 300 milioni di euro per la creazione di start-up innovative, potrebbe avere una ricaduta sul Pil italiano pari ad almeno dieci volte il capitale investito.
Secondo Andrea Gambini, direttore dell’Insubrias Biopark di Gerenzano, il problema principale è legato alla burocrazia e ai costi dell’energia: «Non possiamo paragonare il biotech a un settore tradizionale come ad esempio l’artigianato. Qui i costi sono infinitamente superiori. Pensi che all’Insubrias Biopark ogni anno, spendiamo 600mila euro solo di energia elettrica. Uno sproposito». In questo quadro, secondo Gambini, a subire maggiormente la crisi sono soprattutto le start-up, mentre ad esempio aziende del settore farmaceutico come Areta e Diasorin, due spin-off presenti nel bioparco varesino, vanno molto bene.
Diminuzione del costo del lavoro, semplificazione burocratica, investimenti. Le richieste di un settore che ogni anno fattura circa 7 miliardi di euro sono chiare. Eppure il governo sembra non ascoltare.
Per Loredano Pollegioni, professore ordinario di biotecnologie all’università dell’Insubria di Varese, i finanziamenti regionali non sono sufficienti a sostenere una crescita omogenea del settore. «Le potenzialità delle biotecnologie sono enormi e interessano tutti i settori merceologici, dall’alimentare alla salute, dall’ambiente all’industria, ma richiedono investimenti e personale specializzato». Ma a questo dovrebbe pensare l’università. «All’Insubria è attiva solo una laurea magistrale in Biotecnologie Molecolari e Industriali – conclude Pollegioni -. Abbiamo 12 studenti per anno e un dottorato di ricerca in biotecnologie. Quest’anno a fronte di 13 posti disponibili abbiamo ricevuto ben 38 domande. Avevamo anche un corso di laurea triennale in biotecnologie che andava molto bene con circa 70 matricole per anno e percentuali di laureati, rispetto agli iscritti, tra i più alti in Italia. Ma in accordo con la legge Gelmini è stato chiuso».
La speranza è che il corso venga riattivato e che la collaborazione tra università e aziende possa continuare. Nella fragorosa sordità della politica non possiamo permetterci di perdere anche questo treno.

Redazione Saronnonews
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Pubblicato il 03 Ottobre 2013
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