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Lavoratori Anovo: “Ci sentiamo traditi”

La proprietà dell’azienda tecnologica ha depositato i libri in tribunale per la dichiarazione di fallimento. Tra i 253 dipendenti c’è paura e delusione: “Il mercato non era in crisi, paghiamo noi scelte aziendali sbagliate”

C’è ammarezza, delusione, sconcerto, tra i 250 operai della Anovo Itlaia che ha sede a Saronno. La proprietà della multinazionale francese, che conta 5.400 dipendenti in tutta Europa, ha comunicato lunedì che per un rilancio dell’azienda sarà chiuso il sito saronnese. La proprietà di Anovo Italia infatti, dopo il mancato pagamento dei debiti dalla casa francese, è stata costretta a presentare i libri in tribunale. Dopo lo sciopero di un’ora di lunedì mattina, nello stabilimento saronnese lo sconforto è elevato.
«Ne abbiamo passate tante di crisi – racconta alla reception Maria Rosa Cavaliere, da 25 anni nell’azienda, ancora da quando del ramo tecnologico se ne occupava Fimi, prima dell’acquisizione di Anovo -. Sono arrivata come operaia e da sette anni mi trovo qui all’ingresso perchè ho chiesto di fare part-time. Li vedo passare tutti i lavoratori e nonostante le crisi negli anni siano state molte, questa volta è davvero difficile. Non so se potremo uscirne. C’è anche poca voglia di lottare».

Ora nell’azienda di via Banfi, che si trova proprio attigua alla Fimi Gruop che gode di ottima salute, sono aperti due reparti su sei. Martedì sono al lavoro solo 50 dipendenti tra uffici e i reparti per riparazione Hp e Sky. Gli altri sono tutti in cassa integrazione. L’attesa è per l’incontro mdi martedì sera al Ministero a Roma, dove saranno presenti i sindacati e la proprietà, per capire la situazione dopo la richiesta di fallimento. 

«Purtroppo non ci aspettiamo grandi notizie – racconta Giovanni Prandi, da sei anni in Anovo, oggi anche rappresentante sindacale -. Sapevamo da inizio anno che la situazione non era buona, ma non ci aspettavamo si capitolasse così presto. Solo l’anno scorso eravamo in 350 se si considerano anche tutti i contratti interinali. Il lavoro non mancava, sono venuti meno i soldi a causa di scelte aziendali sbagliate. Se ci fosse stata una proposta di ridimensionare o di spostare la produzione avremmo forse reagito con più energia, ma abbiano scoperto solo negli ultimi tempi che l’amministratore di prima ha fatto operazioni discutibili. Purtroppo ci siamo trovati in questa situazione perché l’azienda non ha più capitale sociale. Tanto che adesso chiudono anche la mensa dopo aver già chiuso il silos per parcheggiare le auto. Non ci sono più soldi».

«C’è delusione da parte di tutti – prosegue Maria Rosa – vista anche la situazione in giro le speranze sono appese a un filo. Un conto è se ci fosse qualcuno che ci vuole acquisire, ma non è così. In passato l’azienda ci ha chiesto grandi sacrifici e noi ci siamo sempre impegnati, dal lavorare la domenica e fare turni impegnativi. Ma di riconoscenza nulla. Tutti abbiamo sempre dato massima disponibilità. E ora vogliono lasciarci per strada».
«Sono delusa – conclude – mi sento tradita, amareggiata, dopo tanti anni di lavoro ci troviamo sempre nella stessa situazione. In queste condizioni una persona si deve rimettere in discussione e deve iniziare tutti da capo. Come se quanto fatto, gli anni che hai lavorato, i diritti che ti sei guadagnato, non contassero più nulla. Abbiamo quasi perso le speranze».

Dopo l’incontro di Roma, le organizzazioni sindacali incontreranno anche il sindaco di Saronno, Luciano Porro, giovedì pomeriggio. «Vorremmo combattere – conclude Prandi -, ma adesso stiamo pensando ad allungare il più possibile gli ammortizzatori sociali tenendo aperta la produzione. Forse dovremmo lottare maggiormente. Ma francamente la delusione è molta».

Redazione Saronnonews
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Pubblicato il 22 Novembre 2011
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