Artisti in strada (Una rivoluzione silenziosa)
di Abramo Vane

Ed era andata così, che la nostra bella stradina di giorno era un cimitero, non ci passava un cane come si dice, tranne quello al guinzaglio che faceva pipì davanti al negozio di Monica, e per dare un’anima a quei muri un pomeriggio invitammo i ragazzi del liceo artistico… e una ragazza faceva ritratti, altre tre la ceramica colorata, e c’era un ragazzo formidabile che truccava e creava effetti speciali sulla pelle e così dopo mezz’ora tutti i bambini erano in giro con ferite sulle braccia, guanciotte tagliate, occhi sanguinanti, e poi c’erano quelli che spruzzavano i murales, quelli del teatrino con le marionette, e uno suonava il flauto, e c’era anche un complessino jazz e un ragazzo ne dipingeva la musica su tela, altri due in un angolo in fondo battevano il tamburo, e una ragazza vestita da pagliaccio distribuiva palloncini e un’altra ruotava i colori della primavera come un giocoliere, un professore di fotografia con i suoi allievi immortalava gli avvenimenti, e una cosa davvero sorprendente è che tutti, ma proprio tutti, erano bravissimi, sembrava che avessero iniziato a sei anni a fare quelle cose, e la vita scorreva nella nostra stradina, qualcuno stava chiuso nel suo negozietto e altri serravano le finestre di casa, ma la vita scorreva, e un bimbetto si era fatto dare un pezzo di creta e si era appartato in concentrazione per creare subito anche lui quello che aveva visto dalle ragazze della ceramica, e i miei amici che avevano saputo della manifestazione mi dicevano che era una cosa fantastica, e la stradina era piena di artisti, tutti lo erano, e l’arte era un elisir sceso nel cuore della gente, e il poeta Silvio Raffo la percorreva e la inghirlandava con le sue battute, e il giornale lo avevano letto tutti, ma i signorini che in città pensano di essere loro la cultura non c’erano, e a una certa ora arrivarono quelli dell’aperitivo e avevano facce scure, e infatti quella sera l’auto non potevano metterla davanti al bar, e vicino a loro i ragazzi del jazz ci davano dentro, e si sorprendevano a vicenda che tutto riuscisse tanto bene, era una serata magica, immersi nella musica, e queste loro vibrazioni si percepivano lì attorno, e quelli dell’aperitivo rimanevano estranei, per loro non succedeva niente, e se passavano davanti alla ragazza dei ritratti non gettavano nemmeno un’occhiata, e non avevano una minima curiosità di come nasce un ritratto, di come lo spirito si muove in una matita, e tutto questo è davvero triste… e se qualcuno ha un’idea a proposito, che non sia quella di mettere a queste persone una dinamite nel sedere, per favore, per l’amore dell’umanità, la tiri fuori subito.
Racconto di Abramo Vane (www.ilcavedio.org), tratto da “Un Cavedio nella storia”, in occasione del venticinquesimo della Vetrina da Leggere.
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