“Dolente, coraggiosa e moderna. La più grande”: Manuela Kustermann porta a Saronno la sua Eleonora Duse
Martedì 25 marzo al Teatro Giuditta Pasta Manuela Kustermann protagonista di "Sogno di un mattino di primavera", omaggio a Eleonora Duse nei 100 anni dalla morte. L'abbiamo intervistata per farci raccontare come è nato questo progetto firmato con Andrea Chiodi

Attrice, regista, direttrice artistica del Teatro Vascello di Roma, Manuela Kustermann sarà protagonista domani sera al Teatro Giuditta Pasta di “Sogno di un mattino di primavera”, omaggio alla grande attrice Eleonora Duse attraverso le sue lettere a Gabriele D’Annunzio.
Abbiamo chiesto a Manuela Kustermann di parlarci dello spettacolo e del suo rapporto con la più famosa tra le attrici italiane tra Ottocento e Novecento.
Negli anni Settanta lei era stata soprannominata la “Duse delle Cantine Off”. Perché? Qual è il suo legame con la Duse?
Quando io feci il “Risveglio di primavera” nel 1972 il giornalista inglese John Francis Lane, scrisse un articolo in cui si chiedeva come la Duse avrebbe recitato in quegli anni e si rispondeva appunto citando lo spettacolo e il lavoro con il teatro di avanguardia che io e Giancarlo Nanni facevamo. Avevamo inaugurato la stagione dell’avanguardia, era nato lo sperimentalismo, il teatro di ricerca, e dunque Lane non voleva dire che io recitavo come la Duse ma che lei avrebbe potuto partecipare a questo movimento, perché è stata davvero alla sua epoca una grande innovatrice che ha rivoluzionato il modo di recitare nella sua epoca. Dunque era questo il parallelismo ma mi venne appioppato appunto il soprannome di “Duse delle cantine off”. In “Risveglio di primavera avevo portato in scena un verismo che fino ad allora non c’era mai stato. le mie lacrime erano vere, le mie urla, il dolore erano veri. Addirittura delle signore si sentirono male nella scena dell’aborto, perché era tutto molto vero.
In quegli anni lasciaste il segno nel teatro italiano
Sarà stata la giovinezza ma noi non avevamo canoni di recitazione. Io non avevo fatto una scuola di recitazione, avevo cominciato con Carmelo Bene e poi con Giancarlo Nanni al Teatro la Fede. Avevamo fatto prima “Alice” e poi “Risveglio di primavera” ed è da lì che la nostra compagnia, i nostri nomi iniziarono ad essere sulla bocca di tutti come gli esponenti della nuova avanguardia. Questo era secondo il parallelo: io e la Duse eravamo veramente due innovatrici della scena teatrale. Dopodiché è chiaro che io un pochino negli anni ci ho sempre anche giocato ma anche sempre un po’ riso , perché mi sembrava un confronto assolutamente in particolare, non mi sono mai sentita la Duse.
Ora però la Duse la fa rivivere sul palcoscenico del teatro di Saronno. Come è nata questa produzione in un teatro di provincia??
E’ un progetto interessante, trovo molto bello che un progetto così parta da un piccolo teatro di provincia: vuol dire che c’è vita. Sono assolutamente orgogliosa di fare questo omaggio a Eleonora Duse, dove alle sue lettere si uniscono aneddoti, ricordi. Ho accettato con grandissimo piacere la proposta di Andrea Chiodi, e se vogliamo è anche divertente questa coincidenza, visto il soprannome che mi fu dato tanti anni fa. Ma soprattutto sono felice di approfondire la sua figura che è una figura dolente.
Perché dolente?
Nella scelta delle lettere fatta da Andrea si ente proprio la fatica di vivere, di portare avanti la sua idea di teatro, la sua poetica, la sua volontà di ricerca di autori nuovi, più importanti, fino alla scoperta di D’Annunzio. Perché prima la Duse faceva un repertorio se vogliamo anche molto banale, commerciale. Lei invece voleva portare in scena Shakespeare, Ibsen. In questo senso è stata veramente un’innovatrice, una donna intelligente e moderna. Pensiamo a Sarah Bernhardt, altra attrice famosissima sua contemporanea. Lei era tutta un barocchismo, tutto molto in alto, la Bernhardt era un canto, la Duse invece era tutta sottrazione. All’epoca il teatro era tutto pieno di “gran tromboni”, era tutto barocco, ridondante. E poi arriva questa creatura particolare, senza orpelli, senza trucco, anche un po’ dimessa se vogliamo ma che in scena si trasformava. Purtroppo non abbiamo alcuna registrazione: l’unica di cui si ha notizia andò perduta oppure fu distrutta non si sa. Peccato, sentire la sua voce sarebbe stato eccezionale.
Come “esce” Eleonora Duse dal lavoro che avete fatto?
In queste pagine che ha scelto Andrea Chiodi ci sono tante cose. Una Duse dolente, come dicevo, ma anche tanti aneddoti divertenti che la riguardano, come il fatto che lei non provava mai con gli altri: non provava, arrivava in teatro e andava in scena. Un lato spericolato che non toglieva niente al suo talento, come emerge dagli articoli dei critici della sua epoca che confermano che in scena lei veramente si trasformava. E’ stata un genio assoluto, veramente la più grande.
Cosa l’ha colpita di più della Duse che ha scoperto preparando questo spettacolo?
Tante cose. Anche la forma delle sue lettere, perché ha una forma particolarissima nello scrivere, assolutamente non banale, dalla scelta delle parole all’uso della punteggiatura. E poi sicuramente questa fatica fatica di vivere, che si sente. La fatica di portare avanti il suo lavoro, anche nelle cose pratiche, come pagare la sua compagnia, queste tournée faticose da sola a New York o in Russia. Penso a questa donna in quell’epoca da sola e mi vengono i brividi. Era davvero pazzesca, coraggiosa e moderna e sono felice di poterle rendere questo omaggio nei mesi in cui si celebra il centenario della sua morte.
Domani sera la prima al Teatro Giuditta Pasta, poi lo spettacolo avrà un seguito?
Sì, ho già parlato con Andrea Chiodi e porterò lo spettacolo in un progetto che stiamo realizzando con Mariangela D’Abbraccio da me al Teatro Vascello: sei giorni dove autori contemporanei riscrivono sei vite di donne particolari. Una di queste sarà proprio la Duse. Me la porto con me a Roma: a lei che faticava così tanto faccio fare una piccola tournée.
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