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“Tre mesi senza togliere le scarpe”. Il soldato di Saronno nella tragedia della ritirata di Russia

Nel 1941 l'Italia di Mussolini si univa all'invasione dell'Unione Sovietica. Nell'inverno 1942-43 la tragedia del ripiegamento a piedi, con migliaia di morti. Fino al 26 gennaio, il giorno della grande battaglia di Nikolaewka. Un dramma ripercorso nelle pagine del diario di un fante saronnese

Carlo Ferrario Saronno

«Ore 4:00, ci siamo. Un terribile spaventoso bombardamento, mortai, artiglieria e la katiuscia [razzi]. Sono centinaia di bocche da fuoco di tutti i calibri scaraventano sul battaglione comando una valanga di fuoco».
È il 16 dicembre 1942: il soldato Felice Ferrario, da Saronno, sa che è arrivato il momento della grande offensiva russa, attesa già da giorni.

Non sa che da quel giorno inizia una ritirata nelle nevi che durerà settimane.
E che sarà il momento più drammatico di quella invasione della Russia che sacrificherà migliaia di vite di giovani italiani.

L’ultima battaglia la combatterono gli alpini, il 26 gennaio del 1943, per sfondare le linee russe nel villaggio di Nikolaewka, da allora simbolo della tragica ritirata. La spedizione in Russia voluta da Benito Mussolini costò in tutto 75mila morti – moltissimi in prigionia in mano russa – e dispersi, oltre 40mila furono i feriti e i congelati.

Tra loro c’erano anche centinaia di ragazzi del Varesotto e dell’Alto Milanese: una parte (arruolati nella zona tra Varese e il Lago Maggiore) erano con gli alpini della Cuneense, i più invece con il 3° Reggimento Bersaglieri e con il 37° Reggimento Fanteria.

Felice Ferrario Saronno
Felice Ferrario prima della partenza. Sul retro la madre scrisse un messaggio invocando la protezione della Madonna e di Santa Rita. Le foto di questo articolo sono tratte dal volumetto “Felice Ferrario – Diario 1942-1943”, stampato dal nipote Davide Ferrario.

Sul fronte del Don

Dopo l’addestramento, il ventenne Felice Ferrario partì dalla Cittadella di Alessandria – quartier generale del 37° Fanteria – l’8 giugno 1942: la data compare nella prima pagina del diario che il soldato tenne nell’arco di un anno e che il figlio e il nipote hanno pubblicato. Dopo una settimana di viaggio su ferrovia, dopo una lunga marcia, nel cuore dell’estate arrivò sulla linea del Don, di fronte ai sovietici.

L’invasione lanciata un anno prima da Hitler – a cui Mussolini aveva voluto associarsi – ad agosto si era già trasformata in battaglia difensiva.
A inizio settembre «i russi picchiano» anche sulle linee dove si trova Ferrario, nel diario emergono l’inadeguatezza delle posizioni, la crudezza della guerra: «Vi sono tre cugini, uno è un ammasso di carne […] l’altro ha soltanto metà faccia, squartato, l’altro è ferito nella pancia, gli escono gli intestini». Ferrario si stupisce di fronte alla fucilazione dei prigionieri sovietici.

Carlo Ferrario Saronno
Il cimitero campale del 37° Fanteria, dove furono sepolti i caduti dell’estate. I cimiteri campali furono distrutti dall’Urss dopo la liberazione dei territori occupati da italiani, rumeni e tedeschi

La ritirata

Nel cuore dell’inverno – il miglior alleato dei russi – i sovietici lanciarono l’Operazione Piccolo Saturno, una gigantesca manovra che coinvolse oltre 400mila uomini e più di mille carri armati.

«I russi stanno preparando un attacco, durante la notte è un fracasso continuo» scrive Ferrario nel suo diario nei primi giorni del mese. Le dimensioni dell’attacco forse sfuggono ancora: «Dicono che ci sono anche i carri armati», scrive Ferrario, senza sapere che oltre il Don i carri T-34 “Stalin” sono centinaia.

All’11 dicembre all’alba c’è il primo attacco, respinto: i sovietici «penetrano nei caposaldi, devono indietreggiare, lasciano quaranta morti e cinque prigionieri».
Il 16 si scatena l’attacco principale: i russi arrivano «innumerevoli, a reggimenti. Davanti alle postazioni ci sono cataste di morti». Bombardano anche gli aerei, Ferrario annota che alle 13.30 si affaccia una colonna «di 400 carri armati», a cui si oppongono solo 7 carri tedeschi.

La linea cede e inizia il ripiegamento. «I prigionieri sono fucilati e noi scendiamo nel buio».
L’armata italiana in Russia è già circondata: la ritirata diventa una sequenza di giorni di marcia nella neve e scontri contro i sovietici. Il 18 dicembre Ferrario percorre in un giorno 80 km nella neve.

Italia Mondo generiche
Un’immagine della ritirata

Nei giorni della ritirata tanti soldati italiani scopriranno, anche con stupore, la solidarietà della popolazione locale e all’opposto svilupperanno ostilità verso gli alleati germanici: «I tedeschi non mi caricano, brava gente!» scrive con amara ironia Ferrario, lasciato a piedi da un camion della Wehrmacht. Che invece in una casa contadina si addormenta confidando che «la brava gente mi coprirà». E sono gli stessi contadini russi che svegliano il soldato Ferrario, quando gli altri se ne sono andati e i primi plotoni sovietici stanno entrando tra le case.

Carlo Ferrario Saronno
Felice Ferrario in divisa

Al 26 gennaio 1943 Ferrario in quel giorno si trovava solo in movimento nell’infinita pianura coperta di neve: «si marcia e si è contenti, i russi sono lontani».
Ma proprio quel giorno diventerà il giorno simbolo degli alpini: rimasti sulla linea del Don fino all’ultimo, al 26 gennaio dovranno sfondare l’accerchiamento sovietico con una battaglia durissima nel paese di Nikolaewka.
Un nome che è diventato simbolo: una battaglia non più per invadere il Paese di altri – come era avvenuto negli anni precedenti – ma per tornare a casa. Per molti diventa promessa: farla finita con la guerra fascista.

La ritirata di Ferrario finì – il 12 febbraio – a Dniepropetrovsk, l’odierna Dnipro, città oggi quasi a ridosso delle zone del fronte della guerra tra Russia e Ucraina. Nei primi di maggio, dal treno che torna in Italia, passando da Minsk scrive con tristezza delle donne ebree con la stella di David gialla «che lavorano faticosamente», schiave di Hitler.

Ferrario è scomparso nel 2014. Nei suoi ricordi affidati, molti decenni dopo, ad un archivio video locale, nota che in quella ritirata fece «tre mesi senza togliere le scarpe: dicembre, gennaio e febbraio, mille chilometri a piedi».

Le altre storie di Nikolaewka e della campagna di Russia

L’alpino Angelo, da Bardello alle nevi di Russia (Bardello)

Nikolaewka, storia di una via e della battaglia per tornare a casa (Cardano al Campo)

Le due guerre di Giuseppe Bianchi: dalla campagna di Russia alla prigionia in Germania (Somma Lombardo)

Le piastrine perdute sul fiume Don. Un velatese nella ritirata di Russia (Velate – Varese)

La guerra di Francesco e quella di chi è rimasto a casa (Induno Olona)

Memoria e fratellanza: 2700 chilometri in bici sulle tracce dei soldati in Russia (Varano Borghi)

Ragazzi di paese: sette ventenni dal Lago Maggiore alla ritirata di Russia (Taino)

Serafino e i fratelli alpini che si salvarono insieme (Gallarate)

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 26 Gennaio 2025
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