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Non tutte le retribuzioni sono da fame. Il rapporto della Fiom Cgil smonta i luoghi comuni

Un'indagine svela i numeri del comparto metalmeccanico, evidenziando il peso delle differenze di genere e l'importanza della contrattazione collettiva

sindacato

Se si vuole parlare di lavoro con serietà, bisogna partire dai numeri effettivi e sulla base di questi formulare delle analisi coerenti. Le dichiarazioni generaliste servono a poco, sicuramente non servono a fare chiarezza. Nino Cartosio, segretario della Fiom, e Gaia Angelo, componente della segreteria dei metalmeccanici della Cgil, lo sanno bene perché il loro rapporto sul lavoro nel comparto metalmeccanico stronca alcuni luoghi comuni consolidati, a partire dal fatto che le retribuzioni siano da fame, come spesso si sente dire. Del resto fare di tutta l’erba un fascio è una tecnica di disinformazione collaudata.

IL GRUPPO CAMPIONE

L’indagine ha analizzato 61 imprese con 11.987 addetti, estendendosi ai gruppi Beko, Bticino e Leonardo, per un totale di circa 21.987 dipendenti. I dati sono parziali rispetto al totale degli addetti metalmeccanici della provincia (43.000), ma coprono circa il 50% del settore. Sono stati confrontati i dati del 2023 con quelli del 2021 per 29 aziende e i tre gruppi nazionali.

DIFENDERE LA MANIFATTURA

Entrando nel merito: le retribuzioni medie annue sono di 31.000 euro per gli operai, 40.000 euro per gli impiegati, 74.000 euro per i quadri e 150.000 euro per dirigenti. Rispetto alle Pmi, nei grandi gruppi sono più alte. «Queste retribuzioni non sono da fame – sottolinea Cartosio – e sono retribuzioni che vengono pagate nell’industria manifatturiera. Il lavoro povero c’è e riguarda perlopiù il settore dei servizi dove non sempre c’è un alto valore aggiunto, a differenza dell’industria che invece genera valore con ricadute sociali positive. L’Italia non può prescindere dalla manifattura. Difendere l’industria vuol dire difendere il tessuto sociale perché serve a tenere in piedi il Paese».

LAVORO POVERO

Nino Cartosio non è stato folgorato sul viale dell’Astronomia. Il suo ragionamento parte da una riflessione che è il risultato finale della contrattazione tra le parti sociali. In questa provincia – non ci stancheremo mai di dirlo – i metalmeccanici possono contare sul relazioni industriali virtuose che poggiano su due secoli di storia e una contrattazione degna di questo nome.
Ciò non significa che siano tutte rose e fiori, ma se parliamo di metalmeccanici siamo ben lontani da quel lavoro povero che riempie le attuali statistiche della piena occupazione, lasciando al contempo vuote le tasche dei lavoratori.

LE DISPARITÀ DI GENERE

Le spine nel rapporto della Fiom Cgil non mancano e riguardano per lo più le disparità di genere. «Le donne sono pagate meno degli uomini – dice Gaia Angelo – e se guardiamo i dati degli ultimi tre anni, osserviamo che non c’è stato alcun miglioramento. Le differenze retributive tra uomini e donne raggiungono il 33% tra gli operai, il 14% tra gli impiegati, il 16,5% tra i dirigenti e l’11% tra i quadri. I part time rimangono a carico delle donne così come lo smart working».
Se una operaia guadagna mediamente 21.735 euro l’anno, un operaio a parità di mansioni ne guadagna 31.325 euro. Così a fronte di un salario medio di 35.783 euro per un’impiegata, un impegato ne guadagna 43.357.

IL CONTRATTO COLLETTIVO È LA BASE

La sindacalista fa una puntualizzazione importante, necessaria per fare un ragionamento corretto sulle differenze salariali. «Bisogna chiarire che queste disparità non vengono generate dalla contrattazione collettiva – dice Gaia Angelo -. Sono invece pezzi di salario accessorio, per esempio gli straordinari, a generarle».
L’indagine della Fiom Cgil rivela che lo straordinario è prevalentemente maschile, 68 ore annue contro le 23 ore per le donne. Così come sono estremamente polarizzati il lavoro part-time, il 14% delle donne occupate contro l’1,4% degli uomini, e i congedi parentali di maternità e paternità, che vengono usati dal 9,6% delle donne contro il 3,6% degli uomini.

NO ALLA MERITOCRAZIA ARBITRARIA

Ad accentuare i differenziali salariali tra uomini e donne sono anche il superminimo individuale e il premio di risultato. C’è una parola che il sindacato non vuol sentir pronunciare ed è “meritocrazia” perché è dietro quella parola che si nasconde la trappola. La ragione, secondo Cartosio e Angelo, è semplice: la meritocrazia entra in contraddizione con le pari opportunità e si allinea all’arbitrarietà delal decisione. I dati infatti confermano che la distribuzione dei superminimi in base al genere segna un 62% a sfavore delle donne, con poco più di 3800 euro a fronte di 6000 euro.

SALARIO MINIMO

La contrattazione collettiva è la bussola per definire retribuzione e diritti. Il tema del salario minimo rimane aperto per quelle categorie che hanno poco potere contrattuale e in quelle attività dove la frammentazione del processo produttivo rischia a sua volya di frammentare busta paga e diritti. «Sono appena tornata dalla Prefettura – conclude il segretario della Cgi Stefania Filetti – dove si è discusso del codice degli appalti. È chiaro che in un settore come l’edilizia se vuoi tutelare i lavoratori contro quella frammentazione, occorre la corretta applicazione dei Contratti collettivi nazionali di lavoro, in questo caso quello degli edili che prevede tutte le tutele».

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it
Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.
Pubblicato il 13 Gennaio 2025
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