Agata
di Gianmarco Pellattiero
Agata Battaglin. Nata il 30 novembre 1927. Morta il 28 aprile 1945.
Fisso una delle tante lapidi della Seconda guerra mondiale, presenti nel cimitero. Il loro numero supera quello delle persone sepoltenegli ultimi settant’anni. Un anziano si avvicina, stringe fra le mani una peonia rossa. Cammina con fatica, si appoggia al bastone.
-Mi scusi.
Mi sposto di lato. Lo osservo mentre infila in un vaso di gerbere il gambo del suo fiore.
– Buongiorno. È una sua parente?
L’uomo sospira, ma non risponde. Si protrae con il corpo in avanti e bacia la foto, ormai sbiadita. Lo aiuto a rialzarsi. Lo osservo con attenzione: è più alto di me, nonostante la schiena presenti un’evidente scogliosi.
– È tutta colpa mia. Scorgo alcune lacrime correre lungo il viso, cesellato dalle rughe e dalla sofferenza. Come sempre mi sono fatto prendere dalla curiosità e dal buonismo.
– Le chiedo scusa, signore, non volevo metterla a disagio.
– Invece, la ringrazio per la sua gentilezza, non ci sono più abituato. Ormai nessuno mi rivolge un saluto, una parola. Mi chiamo Armando.
Una pausa, lo sguardo perso verso il marmo della lapide.
– Ascolti, ho un grosso peso che mi tormenta. Non ho mai confessato il mio peccato, nemmeno a un prete. Credo sia arrivato il momento, con un forestiero sarà meno imbarazzante. Lei è la persona giusta, sensibile e altruista. Me lo consente? Non so cosa rispondere. Non sono come mi ha descritto. Annuisco poco convinto.
– Era il 28 aprile1945, gli americani avanzavano e i tedeschi fuggivano. Ero partigiano e con i miei compagni abbiamo fermato undici nazisti. Si sono arresi senza combattere, ma la nostra sete di vendetta ha prevalso sulla giustizia. Si chiederà cosa c’entra Agata. Lei, povera stella, ha cercato di difendere August, uno dei soldati pronti per la fucilazione. In ginocchio, ha abbracciato le sue gambe e continuato a ripetere: vi prego, lui no, è diverso, non sparate. Ho osservato la scena senza intervenire e uno dei proiettili ha colpito la giovane. Da quel momento è iniziato il mio calvario.
Piange il partigiano. Piange l’essere umano. Piange il mondo intero.
Si appoggia a me. Lo sorreggo.
Vorrei consolarlo, dirgli che è meritevole del perdono di Agata e dei suoi familiari. Le mie parole si bloccano in gola; in fondo sono uno sconosciuto, un curioso, un turista di mezza età che visita i cimiteri, noncurante della sacralità dei luoghi e delle storie intrise di sofferenza e di sangue, che si celano dietro a ogni nome e a ogni lapide.
Viste le precarie condizioni dell’anziano mi offro di accompagnarlo a casa con la mia auto. Arrivati a destinazione, l’uomo apre la portiera senza rivolgermi la parola. Lo vedo prima camminare incerto per qualche metro, poi tornare indietro sui propri passi e invitarmi ad abbassare il finestrino.
– Non le ho detto la cosa più importante. Agata è mia sorella. È morta per amore, si è dimostrata più coraggiosa di me. Sono stato un codardo, meritavo di morire al suo posto. Invece…
Gli occhi sono lucidi, altre lacrime implorano la mia attenzione.
– La saluto. Passi a trovarmi quando non ha niente da fare. Ormai la strada la conosce. Vedo la porta di casa chiudersi dietro l’anziano. Per lui la guerra non è mai terminata. Chissà se riuscirà a firmare l’armistizio con sé stesso? Certo che verrò a trovarti, Armando, meriti di trovare un po’ di pace.
Racconto di Gianmarco Pellattiero (www.ilcavedio.org). Finalista XI Concorso “Il Corto letterario e l’illustrazione”, sezione Guerra e Pace, tema: “È una storia vera che non mi dà pace” (Gerardina Trovato), dedicata a Maniglio Botti e sponsorizzata da ANMIG VARESE.
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