La stazione di Venere
Di Gian Paolo Zoni
Le biciclette mi sfiorano, ieri è piovuto, evito con cura le pozzanghere lungo il sentiero. Indosso la giacca impermeabile e il berretto di lana, un vento bastardo sale dal lago. Stringo un fiore tra le dita congelate.
Sono stato a messa questa mattina, ho parlato con don Gino, a giugno partirà una nuova iniziativa parrocchiale, qualcosa con degli africani. Perché poi lo dica a me è un mistero. Non partecipo a queste cose. Utili solo a chi conta di redimersi con un’offerta adeguata alle sue magagne. Forse crede mi farebbe sentire meglio dell’impegno sociale. Baggianate!
Un tizio, secco come un ramo di salice, mi saluta. Non l’ho mai incontrato prima. Mi costa un po’, ma contraccambio cortese, so che lo apprezzi.
Mi ha chiamato Anna, e indovina un po’? Ha bisogno di soldi. Nostra figlia, fa male dirlo, è incapace di gestirsi. Tante spese e la banca non le concede più prestiti. Baggianate!
Il denaro per la casa l’abbiamo anticipato noi e il mutuo della differenza non è poi così alto e un lavoro ce l’ha. A parer mio le manca un uomo che la metta in riga, non certo Aldo, scusa cara, lo so a te piace, ma è proprio un inetto. Se gli mettessi in mano un cacciavite lo userebbe per togliersi il cerume dalle orecchie. Fortuna vuole c’è Isa, dovresti vedere quanto è diventata bella. È sveglia, in questo ha preso da te, e brava a scuola, in questo non ha preso da nessuno.
Ci siamo quasi, ho oltrepassato la stazione di Marte. Era il nostro percorso, il tratto di pista ciclabile fra Bodio e Cazzago dove sono posizionate le riproduzioni dei pianeti, una sorta di via Crucis del Sistema solare. Passeggiamo fino a Venere e torniamo, così dicevi.
Lo abbiamo fatto in centinaia di occasioni. L’ultima volta raccontavi della parrucchiera e del tuo disappunto perché non ti aveva fatto i capelli come avresti voluto, della tua antipatia verso la cassiera del supermercato, e del venerdì sera passato a giocare a burraco con le amiche. Camminavamo mano nella mano come due fidanzatini, io con il giubbino di jeans e le braghe della tuta troppo lunghe razzolavo il terreno. Tu invece eri vestita bene, come sempre, e io ne andavo fiero.
Non raggiungemmo Venere quel giorno. Le anime volano in cielo afferma don Gino. A volte alcune convinzioni rimangono chiuse in chiesa, fuori è un’altra cosa. Sono passati sei anni, ma io lo sento, sei qua intorno da qualche parte. Così ogni domenica poso una rosa sul bordo del sentiero, proprio dove ti trovavi tu quando il cuore si fermò improvviso, lasciandomi perso quaggiù, sulla Terra.
Racconto di Gian Paolo Zoni (www.ilcavedio.org)
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