La festa degli alberi (Omaggio a Celine)
di Abramo Vane
Nell’arido giardino della mia infanzia infelice, già allora, mi sentivo un burattino preso in giro dalla sorte. Non sto a raccontarvela, non voglio lacrime da nessuno. In quella farsa di festa degli alberelli tutto era menzogna, una promessa gonfiata per illudere gli infanti. Piantavamo, con le nostre manine tremanti, quei piccoli arbusti ridicoli, simbolo di una vita che cercava di emergere da quell’isolato quartiere di periferia. Inizi patetici senza alcuna reale speranza.
Un’oscurità marciva in me, un presagio che avrei capito solo negli anni a venire… anni bastardi che mi hanno portato via l’innocenza.
Crescendo, quel ricordo si è fatto nebbia, svanito nell’insensatezza umana. La vita mi ha scaraventato lontano dai sogni che ogni bimbo sente dirompenti nel cuore. E il mondo? Il mondo si è mostrato nella sua vera luce: un campo di battaglia, dove le visioni vengono stritolate come insetti sotto la suola bucata di una scarpa comprata al supermercato.
Ieri, in una mattina uggiosa di novembre, sono tornato lì, in quel luogo. Il campo, un tempo desolato, era diventato una sfida alla civiltà di cemento. Si era realizzata quell’idea di società reclamizzata dal parroco e dal sindaco. Vecchietti con un piede nella fossa seduti sulle panchine sotto gli alberi di un parco pubblico, mamme con carrozzine e bambini che, fortuna loro, non sapevano che cosa li aspettava. Camminavo sul prato verde malcurato dalla ditta appaltatrice del comune e vedevo i fantasmi dei miei compagni. Storie spezzate, vite deviate, cancellate dal tempo. Marchiate, distrutte. Forse non era così, ma così io le vedevo.
Sentii chiamarmi per nome: “Carmine, Carmine”.
Era Raffaele, un vecchio compagno. Viso scavato dal tempo, occhi però da ragazzo che sogna ancora.
“Ricordi quella festa? – mi ha detto con voce che presupponeva la mia condivisione.”Abbiamo fatto qualcosa di grande, vero?”
“Grande?” ho risposto con un ghigno irriverente. “Era solo una stronzata da bambini.”
“Una stronzata?” lui risentito. “Ma guarda questi alberi. Siamo noi, siamo noi cresciuti dal niente, sopravvissuti al peggio. Ogni albero è una storia, e noi siamo ancora qui, a ricordare”.
Ho abbracciato un tronco, sotto le insistenze di Raffaele.
“Embé” ho detto, “è umido”, e ho salutato l’amico che ancora me la menava.
Ho fatto per uscire dal boschetto, trattenuto però da una sensazione di pace amara… e da vicino ho guardato in faccia uno di quegli alberi. Si burlavano di me.
Quella festa da bambini era stata una maledizione sul futuro che mi attendeva, e adesso ogni albero era un legame fastidioso col passato. La vita andrà avanti, implacabile. Erano fragili, ora sono solidi. Parlano di un tempo che fu. E di un tempo che verrà.
Racconto di Abramo Vane (www.ilcavedio.org) – 2. Serie “Alberi e Omaggi”
“C’è ancora qualche motivo di odio che mi manca. Sono sicuro che esiste”. (Louis Ferdinand Celine).
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