Cosa può accadere dopo le assoluzioni nel processo per lo stupro sul treno e a Venegono
Le difese festeggiano ma resta da chiarire se i nomi di due giovani marocchini fatti durante il processo potranno portare all’identificazione dei responsabili
«In nome del popolo italiano»: la formula che precede la lettura del dispositivo della sentenza rimbomba come un ritornello sulla bocca di Anthony Fusi Mantegazza, 23 anni, mentre è ancora sotto la custodia degli agenti della polizia penitenziaria che lo accompagnano fuori dal tribunale di Varese, ma senza gli schiavettoni ai polsi: assieme a Elayar Hamza (28 anni) sono da poco stati assolti da un reato molto grave, la violenza sessuale di gruppo.
Sono stati accusati dopo l’arresto avvenuto il 5 dicembre 2021 in seguito ai fatti denunciati da due ventenni il 3 sera, un venerdì, all’ospedale di Varese: le due ragazze si confrontano, parlano di quanto è loro appena successo e lì scoprono che sono state violentate a distanza di pochi minuti, una sul treno e l’altra (riuscita a fuggire) alla sala d’aspetto di Venegono Inferiore.
Da qui partono le indagini che raggiungono i sospettati arrestati a casa di uno dei due a Tradate, appartamenti che sono stati messi a disposizione di affittuari estemporanei per questioni economiche. Da qui parte l’iter processuale che per 15 mesi ha tenuto in carcere in regime di custodia cautelare i due ragazzi proclamati innocenti martedì per non aver commesso il fatto. E fino a qui risulterebbe una cronaca come tante, che si traduce nella remissione in libertà di due persone, per giunta giovani, una delle due con qualche problema a livello cognitivo.
Ma in questo processo subentra anche un altro fattore, cioè la percezione, già emersa chiaramente durante la fase dibattimentale, che i due veri esecutori di quelle altrettante violenze sessuali siano altri. Altri due giovani uomini, uno con una stampella, l’altro che portava una bici usata peraltro per bloccare la prima vittima nel piano superiore del treno in viaggio in direzione Varese; uno con un colbacco, e altri particolari: i «denti grossi», le ferite pregresse divenute cicatrici su di un sopracciglio, la parlata araba con la quale si rivolgono ad una delle due ragazze prese di mira (quella di origini marocchine aggredita nella sala d’aspetto che ovviamente riconosce la frase detta da chi padroneggia quella lingua).
L’identikit dei due malviventi, insomma, c’è, difatti il riconoscimento in aula dei due imputati dietro le sbarre della “gabbia“ è assolutamente parziale, incerta, incompleta da parte delle vittime (e nulla da parte degli altri testimoni presenti quella sera sul treno: viaggiatori e personale di servizio delle ferrovie). Ma non solo.
Nella penultima udienza, quella delle discussioni, il pubblico ministero Lorenzo Dalla Palma ha chiesto al giudice l’acquisizione tardiva (che ha preceduto la sua requisitoria, atto che viene effettuato a dibattimento chiuso) di due nominativi, la cui corrispondenza fra profilo social e profilo anagrafico è stata possibile verificare grazie al lavoro del consolato marocchino in Italia. Due nomi e cognomi, e quindi anche due foto, che già cominciavano a girare mesi addietro nelle carte dei due principali difensori, Fabio Bascialla e Monica Andretti, e che, pur non essendo acquisiti come elementi di prova in questo procedimento, risultano nelle mani degli inquirenti.
Cosa succederà ora? «Non spetta a noi affrontare questo tema. Lo farà chi di competenza», spiegano gli stessi legali difensori dei due accusati. Le due persone indicate dal pubblico ministero in udienza dieci giorni fa potrebbero avere elementi utili per spiegare l’accaduto come semplici persone informate sui fatti? O hanno avuto – come sostengono i difensori – un ruolo attivo nella vicenda, addirittura gli esecutori di quanto avvenuto sul treno regionale 12085 fra Tradate e Vengono Inferiore e nella sala d’attesa?
Ad oggi i soggetti indicati, entrambi cittadini marocchini, risulterebbero irreperibili.
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