Quando giocare a basket è più che fare canestro
A Olgiate Comascoil primo concentramento Uisp della stagione per squadre con atleti con disabilità intellettivo e relazionale. «La vittoria più bella è rafforzare la loro autonomia»
Fare canestro può significare tanto di più che segnare qualche punto. Può essere un passo importante verso l’emancipazione, l’autonomia, la costruzione della fiducia in se stessi. Lo dimostra l’esperienza maturata con i tornei Uisp dedicati agli atleti con disabilità intellettiva e relazionale.
Due domeniche fa, a Olgiate Comasco, si è svolto il primo torneo Uisp dell’anno, ribattezzato “concentramento”. Quattro le squadre in campo, due le partite giocate. Altre sfide seguiranno nelle prossime settimane, coinvolgendo in totale cinque formazioni e 150 giocatori.
«Da qualche anno abbiamo deciso di non fare più un campionato perché diventava difficile sia a livello organizzativo, che per le società coinvolte – spiega Raffaella Gandini, responsabile del torneo Uisp, allenatrice della squadra “Ultra D” e coordinatrice del campionato – I nostri atleti giocano un basket molto basico, che richiede un ritmo lento. Giocare solo due partite alla volta consente a tutti di scendere in campo».
I ragazzi che partecipano al concentramento hanno una disabilità intellettiva relazionale. Sono tutti adulti maggiorenni che presentano diverse problematiche, dalla sindrome di Down all’autismo.
Le regole che devono rispettare gli atleti sono diverse da quelle del basket tradizionale. La prima è che si deve giocare tutti. In campo, poi, c’è molta libertà, ad esempio è consentito palleggiare a due mani.
«Per noi lo sport non è un fine, ma un mezzo – continua Gandini – L’obiettivo è raggiungere un buon livello di autonomia. Coltiviamo anche gli aspetti emotivi:, un conto è allenarsi con i compagni, un altro è fare una partita con il pubblico e i famigliari. Scendere in campo di fronte al pubblico è una cosa difficile perché l’emozione gioca brutti scherzi. Ci sono ragazzi che entrano in campo con il tutor per superare la paura e “rompere il ghiaccio”. A causa del Covid, nei due anni passati, abbiamo giocato alcune partite, ma con poco pubblico. Di conseguenza, ora richiede più impegno ricostruire la capacità di esibirsi di fronte a volontari, simpatizzanti, e alle squadre “in panchina” che vengono a vedere e a fare il tifo».
La ripresa del Concentramento Uisp segna la voglia di tornare alla normalità, e alle emozioni che si provano durante un torneo. «Perdere – conclude Gandini – è più formativo che vincere, perché richiede di saper gestire le emozioni legate alla sconfitta. Lavoriamo molto su questo aspetto. È difficile far capire che non vince chi sale sul podio, ma chi è capace di fare del suo meglio in campo. Alla fine di un Concentramento torniamo a casa con la sensazione che tutti abbiamo fatto qualcosa di grande indipendentemente dalla classifica, perché abbiamo lavorato per rafforzare la personalità».
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