Cooperazione genera cooperazione. La storia di Nicoletta
Nicoletta è vicepresidente dell’associazione Edera-Amici della cooperativa Arca di Tradate,. La sua storia è quella di una donna, mamma e lavoratrice dal cuore coraggioso
Nicoletta, classe ’63, mamma di Greta e Nicolò M., ragazzo con disabilità da circa un decennio ospite del Centro socio educativo prima e del Centro diurno disabili poi dell’Arca cooperativa sociale di Tradate in provincia di Varese. Nicoletta è vicepresidente dell’associazione Edera- Amici della cooperativa Arca, nata in seno all’ente, che si occupa dell’organizzazione di domeniche di sollievo, gruppi di mutuo-aiuto psicologico per genitori di bambini e ragazzi disabili, iniziative che affrontano il tema “dopo di noi”, ovvero le iniziative messe in campo dal governo per l’assistenza alle persone disabili dopo la morte dei genitori o dei caregiver.
L’Arca cooperativa opera dal 2007 sul territorio e fa parte di Confcooperative Insubria. La sua missione è prendersi cura delle persone con disabilità e delle loro famiglie, in un percorso condiviso orientato all’assistenza socio-educativa e allo sviluppo delle autonomie e della realizzazione personale nel proprio contesto di vita.
Sin dal primo giorno, l’ente si adopera quotidianamente per orientare il suo operato nel perseguimento dell’interesse della comunità alle pari opportunità, alla qualità della vita e all’inclusione sociale delle classi di popolazione riconosciute come fragili.
Nicoletta, com’è essere mamma di Nicolò?
«Non è stato semplice accettare la situazione, in un primo momento. L’amore e la forza di mio marito sono stati fondamentali per cercare insieme una via per accompagnare il percorso di crescita di Nicolò e di Greta e per sincronizzare i nostri orologi come coppia, come genitori e come famiglia. Sono stati anni intensi, di grande sofferenza sotto molti punti di vista. Il primo vero banco di prova è stata la scuola: l’inserimento in classe è stato per mio figlio un’esperienza sicuramente positiva, ma per me è stato un momento complesso, da metabolizzare».
E poi cos’è cambiato?
«E poi è arrivata L’Arca. Inizialmente – lo ammetto – mi sono detta: “Questa è la mia tomba”. Pensavo fosse un punto di arrivo. Dopo pochissimo, invece, ho iniziato a vedere Nicolò sotto una nuova luce, con un nuovo punto di vista; fondamentale in questo percorso è stato il sostegno di Samuele, lo psicoterapeuta, del gruppo mamme e di Gustavo, educatore storico della cooperativa, che ha sempre trattato mio figlio come se fosse il suo, con un’umanità, una cura e una fiducia che mi hanno aperto gli occhi e, soprattutto, il cuore. Oggi, quando sono al lavoro, sono tranquilla e consapevole che Nicolò è in un contesto sereno e stimolante, e spesse volte mi soffermo a pensare a quale attività starà facendo e al suo sorriso grande quando mi vede comparire sulla porta».
Hai accennato al gruppo delle mamme che gravitano intorno all’orbita della cooperativa. Alcune ti accompagnano anche nell’avventura del volontariato e dell’attivismo con Edera: quanto è importante in questo contesto il fare squadra, la creazione di un gruppo solidale al femminile?
«Importantissimo. La professionalità degli operatori de L’Arca ha sempre unito il gruppo dei genitori e stimolato tra di noi la creazione di una rete di ascolto, di supporto e di amicizia. Il sostegno delle mamme dei compagni di Nicolò è sempre stato fermo e fondamentale per me, come mamma e come donna. Con loro mi sono finalmente sentita compresa, capita, parte di un gruppo. Proprio da qui è nata l’idea di Edera, l’Associazione di Volontariato di cui faccio parte: con alcune amiche e alcuni amici, attivisti e genitori di bambini e ragazzi presi in carico dalla cooperativa, abbiamo deciso di approfondire un paio di tematiche portate avanti dalla mission dell’ente, come la solidarietà, la creazione di una comunità territoriale inclusiva e il diritto alla qualità di vita della persona disabile, e farci promotori sul territorio di iniziative di sensibilizzazione, in particolare per quanto riguarda il tema del “Dopo di noi”. Nei nostri gruppi di mutuo aiuto e di sostegno psicologico non è raro che qualche mamma dica: “Vorrei morire 5 minuti dopo mio figlio”. Lo capisco e, in un certo qual modo, lo immagino anche io, che sento l’istinto profondo di dare un futuro solido a Nicolò. Ma, in fondo, pensare che questo fardello ricadrà unicamente sulle nostre spalle e su quelle della nostra famiglia non è corretto: le istituzioni devono pensare a un sostegno concreto, che sia percorribile e, soprattutto, raggiungibile da tutti».
Insomma, avete attivato un circolo virtuoso, dove la cooperazione genera cooperazione sotto forma di attivismo, sensibilizzazione, volontariato.
«È quello che cerchiamo di fare (sorride). Come è stato per noi mamme, conoscere una situazione, esserci dentro, deve generare curiosità, comprensione, la facoltà di dire: “Io ci sono, io posso fare qualcosa per aiutare”. Questo spirito di gruppo si è visto in particolare durante la pandemia, quando la nostra presidente Gabriella (Colombo, figura di riferimento di Edera, ndr) ha cercato in ogni modo possibile di tenerci unite e di condividere la solitudine a cui noi tutti eravamo costretti. Un altro grande merito è da attribuirsi al presidente de L’Arca Cooperativa Thomas Moro, che ha saputo mantenere vivo il rapporto famiglia-ragazzi-educatori. Questa è voglia di cooperare, di fare squadra: la spinta al mettersi al servizio, all’ascolto, è il primo passo per raggiungere una vera inclusione sociale».
Tu sei mamma anche di Greta, giovane e brillante donna neolaureata in Giurisprudenza. Che cosa le insegnerai?
«Porterò sempre avanti gli insegnamenti che abbiamo dato loro io e mio marito Lorenzo: che ci siamo e che ci saremo sempre, nonostante tutto. A Greta, in particolare, dico che deve ragionare sempre con la sua testa e con il suo cuore: essere forte, risoluta ed andare dritta alla meta. Che deve mordere la vita, affrontando i momenti difficili e assaporando fino in fondo le gioie che verranno».
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