Vent’anni fa l’incredibile medaglia d’oro di Steven Bradbury, “l’ultimo rimasto in piedi”
Le immagini un po' sgranate ci riportano alle Olimpiadi di Salt Lake City e a una delle più incredibili medaglie della storia olimpica. Il 16 febbraio 2002 la vittoria inaspettata nel pattinaggio short track di un "eroe per caso"

Sono passati vent’anni oggi – 16 febbraio 2022 – dalla medaglia d’oro di Steven Bradbury nel pattinaggio short track, una delle più incredibili medaglie nella storia delle Olimpiadi.
Era l’anno delle Olimpiadi Invernali di Salt Lake City, 2002, e il pattinatore australiano Bradubury vinse in maniera inaspettata, secondo i più per pura fortuna, secondo altri (tra cui l’interessato) anche per una intelligente strategia. Bradbury vinse perché fu “l’ultimo rimasto in piedi”, nella finale.
A distanza di vent’anni resta una vittoria spettacolare, unica nel suo genere, spesso ricordata in modo ironico. Fu anche la prima medaglia d’oro vinta da un Paese dell’emisfero australe nella storia delle Olimpiadi Invernali.
Il “brutto anatroccolo” a Salt Lake City
A Salt Lake City Steven Bradbury arrivò con poche speranze: non era giovane (è nato a Camden nel 1973, aveva 29 anni), veniva da un Paese senza grandi strutture o tradizione per quello sport, ma soprattutto aveva alle spalle due due gravissimi infortuni (in un caso aveva rischiato il dissanguamento, nel 1994).
Nella gara sui 1000 metri Bradbury fu eliminato in batteria, ma fu ripescato dopo la squalifica di un altro concorrente (evento non raro). Nella semifinale Bradbury finì in coda al gruppo e, quando davanti ci fu una caduta per contatti tra concorrenti (evento frequentissimo nello short track), si ritrovò inaspettatamente secondo.
Salt Lake City 2002: l’incredibile vittoria di Steven Bradbury nella finale short track
A consacrare un vero mito fu però la finale, per evidenti motivi: anche in questo caso Bradbury finì subito in coda al gruppo, quasi subito. All’ultimo giro la competizione in testa era feroce: in una caduta a catena tutti i pattinatori caddero urtandosi a vicenda: il cinese Li Jiajun si scontrò con l’americano Apolo Anton Ohno., coinvolse il coreano Ahn Hyun-Soo, la caduta di gruppo fu seguita da quella del canadese Mathieu Turcotte. Bradbury era già molto arretrato e passò indenne. Mentre gli altri si assiepavano a bordo pista, scivolando sul ghiaccio, Bradbury trionfò in solitaria.
“L’ultimo rimasto in piedi”, come venne intitolata la sua autobiografia.
“Ne cade uno, ne cade due…”: la Gialappa’s band e il mito di Steven Bradbury
In Italia la vicenda di Bradbury è stata trasmessa in modo molto ironico dalla cronaca della Gialappa’s band, che fece della sequenza di tre gare di Bradbury un pezzo di comicità quasi epico (è ancora oggi tra i video più visti della Gialappa’s legati alle Olimpiadi), complice anche il controcanto sarcastico al commento tecnico della Rai, che – come tutti – diede sempre l’australiano come l’atleta fuori dei giochi, capitato per caso nella finale.
Quello di Bradbury non fu solo un colpo di fortuna, ma anche il frutto di una consapevole tecnica di gara, in uno sport noto per le frequenti cadute che eliminano concorrenti: si può dire una scelta “al ribasso”, in un contesto in cui anche un piazzamento sarebbe stata per lui una vittoria. Più in generale, Bradbury – in una lunga e bella intervista al Daily Telegraph del 2013 dedicata a “un eroe per caso” – ha invece rivendicato quel successo come frutto della tenacia:
Non ho vinto la medaglia d’oro per quel minuto e mezzo di gara, ma per i dodici anni di carriera che mi hanno portato fino a quel minuto e mezzo
Con quella vittoria è entrato nel mito: nel mondo sportivo anglosassone si usa anche l’espressione gergale doing a Bradbury , “fare un Bradbury”, “fare una cosa alla Bradbury”, che significa vincere in modo quasi miracoloso o anche all’ultimo e in modo inaspettato.
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