Filippo Berto: “Il design dei sogni per noi è Made in Meda”
Il Ceo della BertO, una delle importanti aziende di successo nel mondo del design ha presentato il suo libro che ripercorre la storia del territorio, delle professionalità e dell'impresa di famiglia
“Giravo per le strade di Meda con la mia biciclettina, e vedevo, guardavo, osservavo. Vedevo innumerevoli cortili, dove mi soffermavo a guardare quelle che mi sembravano migliaia e migliaia di persone al lavoro. Le osservavo, affascinato, mentre lavoravano sodo, spesso immersi in nuvole di buscaj, i trucioli di legno. Nella mia mente di bambino mi chiedevo: «Ma quante case devono esistere al mondo per poter accogliere tutti questi mobili? Tantissime”.
Filippo Berto è arrivato a Legnano a presentare il suo libro “Made in Meda. Il futuro del design ha già mille anni”. Lo ha fatto negli spazi di theZENagency all’interno dell’iniziativa “Bookowski – Not the ordinary caffè letterario”. A intervistarlo, dopo una breve presentazione di Egidio Alagia, founder di FDO – For Disruptors Only, Roberto Bonzio, giornalista curioso e fondatore del progetto: “Italiani di Frontiera”.
Una presentazione che ha seguito le caratteristiche del libro, dove ogni capitolo si apre con delle domande e i famosi hashtag con l’inconfondibile # davanti a una parola. Il primo termine non poteva che essere stupore. Berto ha ripercorso le pedalate di quel bambino che curiosava per le strade della sua città. “Quello che a Meda chiamano lavoro nel resto del mondo lo chiamano design. Per me i maestri artigiani erano degli eroi. Ero circondato da imprese che esportavano in tutto il mondo. Studiando Meda scoprii tante cose, come il monastero che poi è stato trasformato in villa. Donne manager di mille anni fa che governavano il territorio e lo fecero sviluppare. Il design è stato inventato dalle badesse. Quando nel 1798 arrivano i francesi soppressero gli ordini monastici e trasformarono il monastero in una villa. Cominciarono così i traffici e i medesi, che facevano le manutenzioni dei loro mobili, acquisirono altre competenze che porteranno allo sviluppo industriale del territorio”.
Nelle parole di Filippo Berto traspare la passione, l’amore per un mondo che sente suo, ma che al tempo stesso lo faceva sentire scomodo, “incazzato” come scrive nelle prime pagine del libro motivando la nascita di questo lavoro. Il suo racconto è una galoppata nella storia del territorio più che della sua azienda nata dalle intuizioni di suo papà e suo zio nel 1974.
BERTO DIVENTA LA CASE HISTORY DI GOOGLE PER IL DESIGN
“All’inizio degli anni Duemila succede una cosa incredibile. Avevamo iniziato a fare dei piccoli investimenti su Google per portare Berto fuori da Meda. La popolare azienda famosa per il motore di ricerca ci scoprì e diventammo il loro caso di studio a livello mondiale, un ambassador per le Pmi italiane. Fu un successo incredibile a cui seguì una grande attenzione da parte dei media nazionali”.
Filippo sorride orgoglioso: “lasciatemela tirare per un momento, ma davvero fu una svolta. Dal 2012 a oggi, BertO è stato più volte citato come caso studio per Google”.
La storia di BertO, che durante il lockdown ha totalizzato +300% di vendite online, conferma come la propensione alla digitalizzazione sia ormai una risorsa irrinunciabile.
“Il nostro è un settore molto tradizionale, legato ancora a vecchi metodi di comunicazione e di distribuzione. Solamente attraverso la pratica diretta, mettendosi in prima persona a imparare, capire, cercare, testare continuamente strumenti nuovi, chi fa impresa potrà comprenderne l’efficacia e capire come trasformare il proprio business. Le persone sono sempre le stesse. Sono le aziende che devono cambiare”.
Uno spirito che porta l’azienda a un progetto forte e innovativo: #divanoxmanagua insieme con la Ong Terre des hommes. “Nasce da lì il crowdcrafting, un concetto di porte aperte alla bottega che semplicemente prima di allora non era né mai stato preso in considerazione, né mai passato per l’anticamera del cervello a nessuno”. Insomma, BertO unisce solidarietà, professionalità e passione a innovazione con progetti precisi e aperti.
Roberto Bonzio ha proseguito le domande e le analisi che aiutassero Filippo Berto a entrare nel libro e nella storia che ne emerge.
“Uno dei punti difficili – ha affermato il giornalista – non è fare ma raccontare. Nella Silicon Valley c’è invece una forte abilità nel presentarsi. In passato si faceva la corsa all’oro e c’era un forte bisogno di identità. L’industria del cinema si sviluppò lì e questo amplificò ancora di più. Noi abbiamo la zavorra della storia che non ci fa lavorare bene sulla comunicazione. Come è andata a voi della BertO.
“Abbiamo iniziato a lavorare nel 1974 con mio papà, mio zio e due ragazze. Mancava tutto quello che conosciamo di una azienda. Poi siamo cambiati e siamo partiti dal raccontare il dietro le quinte. Le immagini più belle di lavoro sono questi ragazzi di 97 o 92 anni che raccontano la storia degli anni sessanta. La passione diventa il motore di tutto. È da lì che siamo arrivati a trasmetterla a tutti i sessanta ragazzi che oggi lavorano per noi”.
La prima domanda dal pubblico è stata diretta: “Cosa ti fa svegliare al mattino e ti dà la spinta a proseguire?”
“Vedere un sogno di tanti anni fa che cresce è bellissimo, ma è anche una bella responsabilità. Lo devo ai miei genitori che si sono tanto impegnati per la loro azienda e che ora hanno lasciato a me il testimone”.
Il libro di Filippo finisce con dieci tesi. Nelle ultime due emerge con tutta la forza la sua visione: la numero 9, Un’azienda non è solo un’azienda, ma un pezzo di società; la decima, il futuro è una tua precisa responsabilità”.
I PROTAGONISTI DELL’INCONTRO
Filippo Berto, CEO di BertO, è un ambassador del Made in Meda: profondamente orgoglioso della Design Capital mondiale, e delle presenza della sua azienda in questo distretto.
Roberto Bonzio “è un giornalista curioso” che – per dedicarsi a tempo pieno a Italiani di Frontiera – nel 2011 ha lasciato il posto fisso all’agenzia internazionale Reuters a Milano, dove per dieci anni si è occupato in particolare di cronaca, cultura, innovazione ed hi-tech. Alcuni suoi pezzi sono finiti anche su The Guardian, The Independent, The New York Times, The Washington Post. Ma ha iniziato al Gazzettino di Venezia, come suo padre Gibo, grande cronista a Mestre, sua città natale, che gli ha intitolato una piazzetta. E’ arrivato a Milano, al Giorno, nel 1986 e in passato ha collaborato a diverse riviste tra cui D di Repubblica, Gente Viaggi, Gioia e Tuttoturismo. Ha una laurea (tardiva) in Lettere Moderne, conseguita all’Università Ca’ Foscari, con una tesi di Storia del Cinema di cui è molto orgoglioso: “Una rivoluzione senza parole. L’umorismo eversivo di Harpo Marx”. Ha anche tenuto per alcuni mesi per la rivista Forbes un blog in inglese sulla loro piattaforma, sui temi dell’innovazione, Out Of The Box (Fuori dagli schemi). Per il suo lavoro con Italiani di Frontiera, all’inizio dell’Anno Accademico 2013-14 dell’Università di Venezia, l’Associazione Ca’ Foscari Alumni lo ha premiato con il prestigioso titolo di Cafoscarino dell’Anno.
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