A 75 anni dal Referendum del 2 giugno: come andò il voto in provincia di Varese
Il 2 giugno 1946 si votava per il Referendum e per l'Assemblea Costituente, furono delle elezioni molto sentite e agitate. Come andarono nel Varesotto? La Dc fu il partito più votato, seguito dalle "sinistre"
“Nel presentare le schede al Presidente del seggio, abbiamo veramente sentito che con questo atto semplice ed austero eravamo noi, finalmente noi, popolo italiano, ricchi o poveri, sapienti od incolti, che imprimevamo col nostro volere un movimento alla ruota del destino della nostra patria”, scriveva il giornalista de “La Prealpina” Carlo Pomini 75 anni fa, in occasione del Referendum del 2 giugno 1946.
Traspaiono emozione e senso del dovere dalle parole del cronista, d’altronde si trattava delle elezioni che seguirono i vent’anni di dittatura fascista e il duro periodo della Seconda Guerra Mondiale: dopo numerosi rinvii, il governo stabilì il 2 giugno come data per andare alle urne.
Erano molto attese: infatti, sulle pagine del quotidiano locale se ne parlava fin da inizio anno. Per numerose città si trattò del primo effetto della democrazia; per le italiane significò la prima volta alle urne dopo la concessione del diritto di voto (non per quelle della provincia di Varese, così come di altre città, che votarono a marzo, a inizio della lunga tornata elettorale amministrativa che investì la penisola da marzo a novembre del 1946).
Ad aumentare le tensioni l’abdicazione del re Vittorio Emanuele III, a metà maggio, in favore del figlio Umberto II: il Partito Socialista vide in quel gesto l’estremo, nonché vano tentativo di risollevare le sorti della dinastia, cercando un diversivo per “turbare” le sorti delle elezioni. Con il padre in esilio, nel numero della “Prealpina” del 2 giugno si legge che secondo il ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, Umberto II avesse consegnato in bianco entrambe le schede; la regina Maria Josè, invece, arrivata al seggio elettorale accettò solo la scheda per la Costituente.
Il murale della “ragazza del 2 giugno” all’Ortica (Milano) che raffigura Anna Iberti nella celebre fotografia di Federico PatellaniUmberto II partì di nascosto il 13 giugno, dopo il passaggio di poteri al nuovo governo, su un aereo diretto a Barcellona, per poi arrivare a Lisbona: la fuga fu condannata duramente dalla stampa. Già nell’edizione del 6 giugno si faceva riferimento alla regina che, insieme ai figli, aveva lasciato Roma per arrivare a Napoli, mentre si smentiva una voce sul presunto suicidio di Umberto II, appoggiandosi all’Ansa: “La notizia – è stato risposto – è così assurda da non richiedere nemmeno una smentita. La nota fondamentale del carattere del re è come tutti sanno la serenità, specie nei momenti delicati, a oggi egli ne ha dato nuova prova”.
Non votarono, però, tutti gli italiani: rimasero esclusi i militari ancora prigionieri nei campi alleati, la provincia di Bolzano (che era stata annessa alla Germania dopo l’autunno del 1943), Fiume, Pola, Trieste e Zara. Il confine orientale era sotto il dominio dell’esercito di Tito dalla primavera del 1945 e si era riacceso il conflitto tra italiani e slavi, mentre Trieste sarebbe stata tornata italiana nel 1954 (nel 1946 fu divisa in due zone, una sotto il controllo anglo-americano, l’altra sotto quello jugoslavo). La questione orientale e, soprattutto, di Trieste nei mesi di maggio e giugno del 1945 era una fitta presenza sulle pagine dei giornali dell’epoca.
Referendum 2 giugno: Repubblica o monarchia in provincia di Varese?
In provincia andarono alle urne 279.533 elettori (con un’affluenza al 90%): 184.727 voti andarono alla Repubblica, 92.504 alla monarchia.
Il facsimile della scheda elettorale per votare al ReferendumIn moltissimi di questi comuni, sembra scontato scriverlo, “vinse” la Repubblica, ma ci sono alcuni in cui i voti all’assetto monarchico furono maggiori: a Orino-Azzio le preferenze furono 348 (contro i 312 presi dalla Repubblica), ad Agra 148 (59 alla Repubblica), a Brissago Valtravaglia 443 voti (contro i 399 alla Repubblica), a Cremenaga 116 (87 alla Repubblica), 470 a Cunardo (contro i 334 a favore della Repubblica), a Pino sul Lago Maggiore la monarchia prese 101 preferenze (74 andarono alla Repubblica), a Travedona Monate 619 (14 in più della Repubblica), a Valganna 406 (mentre i voti repubblicani furono 328).
La votazione per l’Assemblea Costituente
Oltre alla scheda per scegliere tra Repubblica o monarchia, agli elettori ed elettrici venne consegnata la scheda per tracciare la preferenza sui partiti candidati alle elezioni dell’Assemblea costituente, incaricata di scrivere la nuova Costituzione.
I risultati vennero riportati dal quotidiano il 4 e il 5 giugno. Quelli completi di Como-Varese-Sondrio furono resi noti giovedì 6 giugno: il primo partito fu la Dc con 305.472 voti, cui seguirono il Partito Socialista con 228.034 voti, il Partito Comunista con 85.164 voti, l’Unione Democratica con 17.819 voti, il Blocco della Libertà con 11.876 voti, il Partito Repubblicano (9.585 voti), il Partito dei contadini (7.211 voti) e, infine, il Partito d’Azione (5.904 voti). Una precisazione: PCI e PSI erano concorrenti ma erano “le sinistre”, in molte località la somma delle percentuali dei due partiti superava di gran lunga la Dc. Quasi ovunque la Dc fu il primo partito, ma la somma del Psi e Psi nelle città sopravanzava sempre: in maniera netta a Gallarate (8.848 voti in totale, di cui 6413 voti del Psi e 2435 ai comunisti) e a Varese (16.513 voti totali, di cui 12.210 al Psi e i 4.303 dei comunisti); meno a Busto Arsizio (14.431 voti al blocco: ai socialisti ne andarono 8606, 5825 ai comunisti).
Inoltre, contrariamente a quel che si pensa spesso, alla fine della guerra a livello italiano il Psi superava il Pci, tanto più in una Regione di lunga tradizione socialista come la Lombardia.
La Democrazia Cristiana fu il primo partito ad Agra (161 voti), Arcisate (980 voti), Arsago (409), Bardello (205), Bedero Valcuvia (128), Brebbia (590), Bregano (142), Brezzo (1466), Brinzio (205), Brissago Valtravaglia (526), Busto Arsizio (12821), Cadegliano (365), Cantello (942), Caravate (393), Cardano al Campo (869), Caronno Pertusella (1591), Caronno Varesino (491), Casalzuigno (253), Casciago (476), Casorate Sempione (677), Castellanza (3038), Castelveccana (550), Castello Cabiaglio (174), Cavaria con Premezzo (549), Cazzago Brabbia (216), Cislago (1515), Comabbio (155), Comerio (932), Cremenaga (99), Cunardo (409), Cuasso al Monte (560), Cuvio (791), Dumenza (386), Fagnano Olona (1396), Ferno (619), Gallarate (7462), Gavirate (1250), Gazzada Schianno (806), Gorla Maggiore (592), Gorla Minore (1246), Gornate Olona (299), Jerago con Orago (819), Lavena Ponte Tresa (211), Leggiuno Sangiano (904), Lomnago (244), Lonate Pozzolo (2084), Lozza (224), Luino (3431), Maccagno (628), Marnate (785), Marzio (112), Mercallo (212), Montegrino Valtravaglia (470), Morazzone (592), Olgiate Olona (1087), Orino-Azzio (346), Pino sul Lago Maggiore (75), Porto Ceresio (552), Rancio Valcuvia (187), Sesto Calende (1457), Solbiate Arno (574), Somma Lombardo (2498), Tradate (2788), Travedona Monate (693), Valganna (369), Valmarchirolo (509), Varese (15.465), Vedano Olona (1089), Veddasca (421), Venegono (1644) e, infine, Viggiù (1200).
I socialisti (Psiup) furono i più votati ad Albizzate, Angera (1283 voti), Azzate (931), Besnate (701), Biandronno (533), Bisuschio (389), Biandronno (533), Cadrezzate (194), Cairate (1104), Carnago (758), Casale Litta (633), Cassano Magnago (1560), Cassano Valcuvia (116), Castiglione Olona (884), Castronno (551), Cittiglio (730), Cocquio Trevisago (747), Crosio della Valle (73), Curiglia con Monteviasco (164), Daverio (370), Ferrera di Varese (124), Galliate Lombardo (142), Gemonio (474), Golasecca (541), Ispra (532), Malgesso (190) Malnate (1682), Masciago Primo (55), Monvalle (345), Mornago (615), Oggiona con Santo Stefano (154), Osmate (89), Solbiate Olona (535), Samarate (1427), Sumirago (899) e Vizzola Ticino (161).
E il Partito Comunista? Arrivò come primo partito solo a Taino, dove prese 505 voti, e Vergiate, che assegnò ai comunisti 1181 voti.
“Corriere Prealpino” del 7 giugno 1946In numerosi articoli di giornale dell’epoca si fa riferimento sia all’ordine e alla disciplina dei varesotti nell’affluenza alle urne, sia al discernimento riguardo all’esito della consultazione, al punto che un trafiletto della “Prealpina” intitolato “Passaggio di poteri nella calma” riportava l’auspicio del presidente De Gasperi riguardo le modalità da attuare per il passaggio di poteri, al fine di dare “prova della maturità democratica del popolo italiano e che possa essere questo un titolo di più per le prossime conferenze internazionali”. Si insiste sulla serenità e disciplina anche nel raccontare del popolo varesino al voto, sulla calma e su come tutto si sia svolto senza intralci o contestazioni.
In quei mesi, infatti, sullo scenario internazionale si stava delineando sempre di più gli accordi di pace (il trattato di Parigi) firmati definitivamente il 10 febbraio 1947. Tra luglio e ottobre del 1946 si svolsero numerose conferenze di pace: il trattato naturalmente attribuiva all’Italia fascista, insieme alla Germania nazista, la responsabilità della guerra; gli sforzi per ottenere riconoscimento nell’aiuto agli alleati dal 1943 al 1945 furono vani.
I confini della penisola furono nuovamente delineati, imponendo la cessione alla potenza jugoslava di territori già riconosciuti all’Italia ai tempi del Ventennio fascista: lo stesso De Gasperi, in un discorso tenuto il 10 agosto 1946, sosteneva che l’81% della Venezia Giulia sarebbe stato affidato al governo della Jugoslavia. Sul confine occidentale l’Italia perse due Comuni interi in Val Roja (provincia d’Imperia) e parti di altri, ma soprattutto il controllo sulle vette alpine e sulle preziose centrali elettriche.
Per il collegio di Como-Sondrio-Varese vennero, come membri provenienti dal Varesotto vennero eletti tra le file della Dc Luigi Morelli (di Castellanza) e il bustocco Enrico Tosi; tra i socialisti c’era il gallaratese Francesco Buffoni, esule in Francia, futuro primo sindaco di Gallarate eletto nel Dopoguerra.
Per il Pci venne eletto Giuliano Pajetta: fratello di Giancarlo, “il ragazzo rosso”, e di Gaspare Pajetta, morto da partigiano nella battaglia di Megolo, di famiglia torinese ma già legata a Taino.
Nel collegio di Milano-Pavia, invece, furono inclusi nel Psi Antonio Greppi (angerese di nascita, fu il primo sindaco di Milano dopo la Liberazione), Ezio Vigorelli (che perse i figli partigiani in Valgrande, durante il rastrellamento nazi-fascista); per la Dc Achille Marazza (originario di Borgomanero, tra gli uomini che tentò di trattò la resa di Mussolini); infine, per il Pci, l’altro Pajetta, Giancarlo.
Il repubblicano Cipriano Facchinetti, già giornalista in gioventù in provincia di Varese, venne invece eletto nel collegio unico nazionale. Al pari del demolaburista Luigi Gasparotto: attivo nel sostegno alla Resistenza da Lugano, legato a Cantello (dove morirà), è il padre di quel Leopoldo Gasparotto ancora ricordato da una via a Varese
Ultima nota: delle ventuno donne elette madri costituenti, nessuna proveniva dall’avanzata Lombardia, tantomeno dalla nostra provincia.
Castelgandolfo, 25 marzo 1946: tra fine inverno e inizio primavera si erano tenute le prime elezioni amministrative, ma solo in alcuni Comuni (qui l’articolo)Le prime mosse del nuovo governo
Il Post racconta l’atmosfera agitata e per nulla calma che si respirava in quei giorni: i primi risultati (risalenti al 4 giugno) davano in vantaggio la monarchia, ma il giorno successivo ci fu il “sorpasso” che dichiarò la vittoria del referendum ai repubblicani, al punto da sospettarne l’irregolarità. I voti per la Repubblica erano 12 milioni, mentre alla monarchia ne andarono 10 milioni: uno scarto minimo che bastò, insieme al clima confuso in cui vennero riportati i risultati, ai filomonarchici per presentare richiesta di riconteggio. Le operazioni andarono avanti fino al 18 giugno, quando venne proclamata la vittoria definitiva della Repubblica.
Nel nuovo governo confluirono democristiani, socialisti e comunisti, che concordarono nell’eleggere a Presidente della Repubblica Enrico De Nicola. L’unione di socialisti e comunisti durò fino al gennaio 1947, quando, a causa dell’inasprirsi dei rapporti dovuti al posizionamento filoamericano del governo nel profilarsi della Guerra fredda, Giuseppe Saragat – che nello scenario internazionale propendeva per un allentamento dei legami con il Pci – insieme al suo gruppo abbandonò il Psiup e diede origine al partito socialdemocratico. Nel maggio di quell’anno il Presidente De Gasperi rassegnò le dimissioni e formò un nuovo governo di democristiani e di un apparato di tecnici.
I lavori del primo parlamento eletto – l’Assemblea Costituente – portarono al varo della Costituzione repubblicana (dal 24 giugno al 22 dicembre 1947), in vigore dal 1 gennaio 1948, simbolicamente a un secolo di distanza dallo Statuto Albertino che aveva costituzionalizzato la monarchia sabauda. Nell’estate del 1947 l’Assemblea firmò il duro trattato di pace.
Il governo democratico non fu calato dall’alto, nessuno lo concesse al popolo italiano: la Repubblica nacque 75 anni fa, dopo vent’anni di dittatura fascista, un durissimo conflitto mondiale e una guerra civile che costarono all’Italia 472 354 vittime. La democrazia e la Costituzione italiana fiorirono sulle ceneri di un Paese piegato dalla Seconda Guerra Mondiale e riscattato dalla Resistenza.
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