Lottò per la Liberazione, fu imprigionata dai fascisti. La partigiana “Bruna” e il dovere di ricordare
Ivonne Trebbi è stata ospite dell'evento organizzato dall’Anpi provinciale a Varese, nel salone principale di palazzo Estense, dove ha presentato presentato il volume "IVONNE. Una vita da partigiana" Pietro Macchione editore
«Eravamo in guerra sotto i bombardamenti e con la fame. Tutto era distrutto e bisognava fare fare fatica per trovare un po’ di pane, zucchero e del latte. È li che ho capito che bisognava farla finita con la guerra e con il fascismo che erano stati i responsabili di quella distruzione in Italia» (Foto: Terziroli).
La forza vibrante della storia della Liberazione è passata a Varese attraverso le parole di Ivonne Trebbi Aloardi, nome di battaglia “Bruna”, staffetta partigiana della Brigata Venturoli. Una donna emiliana, nata a Castel Maggiore in provincia di Bologna, riconosciuta con Croce al Merito di Guerra per il Servizio Partigiano. Oggi cittadina saronnese.
Ivonne è stata ospite dell’evento organizzato dall’Anpi provinciale a Varese, nel salone principale di palazzo Estense, dove ha presentato presentato il volume “IVONNE. Una vita da partigiana” Pietro Macchione editore. Ha raccontato la sua esperienza di partigiana, di imprigionata e di giovane ragazza che ha lottato contro il nazifascismo negli anni della lotta partigiana.
«La nostra parola d’ordine era diventata “sabotaggio” – ha raccontato Ivonne -. In quel periodo, a metà degli anni ‘40, nelle città e nelle campagne c’erano gruppi di partigiani e noi li aiutavamo come potevamo. Ricordo ad esempio che andavamo spesso a cambiare la direzione dei cartelli stradali per confondere i tedeschi che quando arrivavano non sapevano più dove andare e perdevano molto tempo. Oppure che avevamo un compagno fabbro che ci faceva dei chiodoni di ferro da mettere per terra e bucare le ruote dei camion tedeschi».
La diretta della presentazione
Lei, la partigiana “Bruna”, fu anche presa di mira e imprigionata dai fascisti quando si seppe del lavoro di staffetta che faceva per i partigiani.
«Il 5 di gennaio del 1945 le brigate nere sono venute ad arrestarmi: con due camion hanno circondato il caseggiato e mi hanno portata in prigione lasciando mia mamma e il mio papà disperati. In prigione ho passato giorni bruttissimi: mi picchiavano. Volevano sapere cosa sapevo. Ricordo che con me i fascisti usavano una brutalità che lasciò sorpresi anche gli stessi tedeschi. Sono rimasta in prigione fino al 22 di aprile perché la liberazione di Bologna è avvenuta due giorni prima di Milano».
La gioia della Liberazione le ha lasciato una grande speranza: «Nel cuore ho un sogno che ho imparato a coltivare: il sogno di un’umanità che possa trovare la forza di andare d’accordo senza più fascismi». E un monito che Ivonne Trebbi lancia alla società di oggi: «Oggi dobbiamo fare attenzione perché è tornato di moda il fascismo. Non quello che siamo abituati a sentire alle celebrazioni ma quello che mette nella testa della gente tanto odio per gli altri: per gli ebrei, per gli immigrati, per tutti. Dobbiamo continuare noi che abbiamo la fortuna di essere qui a raccontare la storia. Dobbiamo imparare a non essere indifferenti. Insieme possiamo cambiare a società».
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