Non torneremo a fare impresa come prima, il Covid ha scoperchiato il cambiamento
La pandemia ha messo il turbo al cambiamento. Leonardo Valle autore del bestseller "Open Innovation" ha spiegato in un webinar della Liuc le coordinate della nuova economia
«Il vero cigno nero non è la crisi, ma illudersi di continuare a fare impresa domani come lo facevamo ieri. Questo atteggiamento può mettere in crisi anche aziende che fino a ieri hanno prosperato». Leonardo Valle, autore di ”Open innovation” (DFG Lab), tra i primi tre libri di economia più venduti in Italia, ha fatto questo appello in dirittura di arrivo, quando il sipario sul webinar, dedicato al tema dell’open innovation e organizzato dall’università Liuc, era quasi completamente calato.
(Foto di Gerd Altmann da Pixabay)
Il senso dell’urgenza contenuto nel messaggio finale di Valle poggia su due ragioni: la prima riguarda la pandemia, che ha dato un’accelerazione inaspettata a una nuova economia che già esisteva e che oggi ci mette di fronte al fatto compiuto; la seconda è relativa al tessuto imprenditoriale italiano, costituito da una miriade di micro, piccole e medie imprese. «Servono nuove competenze – ha detto Valle – e la consapevolezza che non esiste una risposta univoca per tutti i sistemi economici, tanto più per l’Italia che ha un assetto socioeconomico fondato sulle Pmi, l’asse portante dell’economia. Dobbiamo essere noi a tradurre le nuove professionalità e adattarle al nostro sistema economico».
A dialogare con Valle, oltre al rettore della Liuc Federico Visconti, c’erano Emanuele Pizzurno, ricercatore di Gestione dell’innovazione, ed Emanuele Strada, docente di Metodi e casi di digital consulting, entrambi in forze alla Scuola di ingegneria industriale della Liuc, che hanno incassato il plauso di Valle per il loro contributo al tema dell’innovazione.
APRIRSI ALL’ESTERNO
L’Open innovation non è una novità ma se ne parla da quasi vent’anni, cioè da quando l’economista Henry Chesbrough, scrisse un libro intitolato “Open innovation: the new imperative for creating and profiting from technology” (Open Innovation: il nuovo imperativo per creare e trarre profitto dalla tecnologia). Il concetto era semplice e rivoluzionario: con la globalizzazione le imprese per fare ricerca e sviluppo dovevano aprirsi all’esterno e non chiudersi dentro i propri confini, perché la riduzione del ciclo di vita dei prodotti rende rischioso e costoso il finanziamento dei processi di ricerca da parte delle stesse imprese.
In questo quadro diventa strategica la consulenza di contenuto e di processo, un tema che già prima del Covid, Valle aveva affrontato nel libro (altro bestseller) “Advanced advisory” (DFG Lab). «Abbiamo scritto – ha sottolineato l’autore – che i mestieri cambieranno, altri spariranno e il cambiamento e l’innovazione riguarderà tutti, in modo orizzontale, riguarderà il vivere quotidiano. Perché ci siamo resi conto che il paradigma economico stava cambiando e gli imprenditori non possono gestire il cambiamento della nuova economia perché immersi nella quotidianità e alle prese con enormi problemi di liquidità delle loro imprese. La vera responsabilità dell’advanced advisory è partecipare al cambiamento pianificato e di trasformazione dell’azienda dall’interno essendo partecipe della mission aziendale».
DI QUALE CONSULENZA HANNO BISOGNO LE IMPRESE
Non si tratta di una consulenza specialistica ma a largo spettro per intercettare i problemi e saper mettere in condivisione l’intelligenza e il know how sui diversi soggetti. Tutto molto chiaro e preciso, con un’unica incognita sottolineata dal rettore Visconti: ma in tutto questo turbine di cambiamento l’imprenditore, soprattutto quello piccolo, è consapevole?
«L’imprenditore è in uno stato di necessità-virtù – ha risposto Valle – perché ha certezza della sua inadeguatezza e che le nuove tecnologie digitali lo hanno portato a intraprendere i processi di cambiamento. E poi c’è l’Europa che ha detto chiaramente in che investirà nella transizione ecologica e economia digitale».
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