Cino Zucchi, la teoria dell’innesto e la memoria delle città a Thinking Varese
Partecipatissimo e intenso l’incontro con l’architetto che sta progettando la trasformazione dell’ex Isotta Fraschini di Saronno, e ha fatto il "miracolo" della Lavazza a Torino
E’ stata partecipatissima e intensa la serata con Cino Zucchi, l’architetto che sta trasformando l’ex Isotta Fraschini di Saronno e ha realizzato il “miracolo urbanistico” della Lavazza a Torino.
Due ore e mezza di incontro “sold out” – cioè con quasi seicento persone collegate – e 400 persone ancora online al momento delle domande, già ben oltre le 21: è questo il segno di un interesse importante nei confronti della filosofia di questo grande architetto, menzione d’onore nel 2014 dell’ordine degli architetti varesino («Quando era presidente Laura Gianetti, che ringraziamo anche per avercelo portato a Thinking Varese» ha ricordato la presidente Elena Brusa Pasquè) docente al Politecnico di Milano e firma di alcuni luoghi culto in Italia e all’estero.
LA FILOSOFIA “POLITICAMENTE SCORRETTA” DI CINO ZUCCHI
Il suo racconto ha tenuto incollati tutti agli schermi, architetti e “semplici cittadini” che si erano riusciti a iscrivere, nel raccontare come si struttura una città e che valore ha la storia delle costruzioni in essa esistenti: con sguardo disincantato nei confronti del mondo e delle mode («Non riesco piu ad ascoltare le ecoballe che sento: attualmente preferisco una casa Anni ’50 con gli spifferi che morire di radon ben isolato», oppure: «Madre Cabrini diceva una cosa che trovo fondamentale: “ringrazio Dio che il mondo non va a modo mio”»), autoironia nei confronti della categoria degli architetti («La visione demiurgica dell’architetto che può rendere bella qualsiasi cosa è quasi kitsch», oppure:«Ci sono architetti del tutto mediocri che usano ecologia e sociale per far finta di salvare il mondo. Ma io penso “fammi vedere le sedie: se sono buone e comode le prendo, sennò no”»), e una idea precisa del ruolo del proprio ruolo («Ci sono architetti che vogliono creare un altro mondo con il loro lavoro. Io sono per l’innesto» e «Il carattere non è della persona che ha l’ha firmato, ma del progetto», o infine «Possiamo essere della nostra epoca, ma di un’epoca che sappia raccogliere in sè l’antico, senza imitarlo ma proteggendolo»).
Cino ZucchiDALLA GIUDECCA A TORINO, I SUOI “INNESTI” PIU’ FAMOSI
Nelle due ore e mezza di incontro, per spiegare la sua filosofia, ha raccontato molti dei suoi progetti di riqualificazione urbana, o – come ha più volte ribadito – di “innesto” in un contesto già esistente di nuovi progetti. Costruzioni come la riqualificazione della Lavazza a Torino (nella foto iniziale), che mescola nuovo e antico per mettere al servizio di un quartiere periferico una nuova area a disposizione della città, e che è stato anche radicalmente cambiato “in corsa” nel momento in cui sono stati trovati dei resti di una basilica preromanica, ora integrati nel progetto.
Oppure la casa moderna alla Giudecca di Venezia, che per lui è stato «Come mettere le mani su Nicole Kidman: ti mette soggezione lavorarci e temi in ogni momento di rovinare tutto» ma che ha dato come risultato una struttura diventata nuova icona senza sembrare un pugno in un occhio in una città-museo.
La casa alla GiudeccaHa raccontato anche del lungolago nuovo di Laveno, a cui hanno il suo studio ha messo mano nella parte più vicina alle sponde del Maggiore, dei grattacieli di Cascina Merlata, nella zona dell’Expo di Milano, dove lui ha realizzato due grattacieli in “social housing” belli come grattacieli di lusso, e del progetto di riqualificazione della Isotta Fraschini a Saronno, «La cui realizzazione ha un nome e cognome: quello di tal Beppe Gorla, tanto innamorato della sua città da comprarsene un pezzo e poi pensare a che farne» che sta cambiando continuamente aspetto per integrare le nuove funzioni alle antiche strutture: «Che non sempre erano di pregio, ma che in certi casi ci è piaciuto mantenere, perchè fossero testimonianza di ciò che quell’area era stata».
Il complesso sul lungolago di LavenoIL DIFFICILE EQUILIBRIO TRA CONSERVARE LA MEMORIA E RINNOVARE
Sono state una marea le domande emerse dalla sua esposizione, esposte dalla coordinatrice degli incontri della rassegna Angela Baila: quasi tutte sulle riqualificazioni urbane e della partecipazione della città ai progetti, argomento particolarmente caldo nella provincia e nella città di Varese.
Un argomento che il grande architetto ha affrontato in maniera, anche in questo caso, non scontata: «Mi è capitato di avere esperienze partecipative nei miei progetti – ha spiegato – Specialmente in Finlandia e Olanda, ma anche nel caso del progetto della Lavazza a Torino. Però devo confessarvi una cosa: la partecipazione a volte non sa andare oltre al particolare, ad una proiezione diretta del bisogno individuale. L’ascolto dei cittadini perciò è importantissimo, ma non può essere vincolante: un progetto non può essere la somma di piccoli interessi. In caso di progetti pubblici, è l’amministrazione pubblica che deve farsi carico di una visione generale, che vada oltre gli interessi particolari. E senza cadere nella museificazione della città: non si può ragionare in termini conservativi a tutti i costi, non si può mantenere tutto come è».
Secondo Zucchi «“Tirare una linea” tra cos’è monumento e cosa è tessuto urbano è difficilissimo: se tutto è memoria devo conservare anche la lametta da barba di mio nonno, ma non è cosi, non si è mai fatto così. La città è fatta di innesti e stratificazioni. Voi vedete il castello Sforzesco e pensate che sia l’originale: e invece e gran parte della struttura è una rivisitazione ottocentesca».
Inoltre: «Chi decide cosa va conservato e come? Chi lo cambia? E chi lo paga? Sento spesso per esempio delle proposte su strutture private che non hanno senso: non puoi chiedere a un privato di essere benefattore dell’umanità, e non si può continuamente pensare che il privato debba fare solo il beneficio del pubblico con i suoi soldi. Quando ho presentato il progetto degli scali milanesi, tutti volevano farne solo parchi immensi: ma sapete quanto costa mantenere un parco? Economicamente, è una roba folle. Quello che si progetta deve avere una sua funzionalità e bisogna essere consapevoli che ogni progetto, ogni costruzione vivrà di più a lungo della sua funzione iniziale. Non è un delitto che, nel tempo, cambi la sua funzione. Detto questo, il valore testimoniale dei luoghi è importante: ed è per questo che insisto con l’idea dell’innesto, che rispetti non lo stile del progettista, ma il carattere della città».
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