Carmen Federico (La Rivincita): “Cosa abbiamo appreso in questo primo anno di pandemia?”
Le riflessioni di Carmen Federico, presidente dell'associazione culturale La Rivincita di Saronno, ad oltre un anno di distanza dall'avvento della pandemia
Le riflessioni di Carmen Federico, presidente dell’associazione culturale La Rivincita di Saronno, ad oltre un anno di distanza dall’avvento della pandemia.
Cosa siamo riusciti ad apprendere in questo primo anno di pandemia?
Siamo giunti ormai al traguardo del primo anno trascorso con il covid 19 ed è evidente che la situazione non sia affatto finita qui e che occorra necessariamente superare questo status connotato dalla straordinarietà al fine di trovare un vero e proprio equilibrio di “convivenza”, con i rischi propri connessi alla diffusione del contagio, auspicando che il vaccino possa comunque essere in grado di apportare un grande e concreto aiuto anche se ancora, sarà necessario porre in essere condotte corrette e rispettose nei riguardi della collettività e misure di contenimento del rischio ad hoc.
Questo contesto di “convivenza”, che andrà ad introdurre scenari di maggiore continuità e normalità, non puo’ prescindere dal tener conto dell’esperienza vissuta ad oggi.
E’ innegabile che la pandemia ha cambiato le famiglie e oggi a distanza di un anno dall’inizio dell’emergenza Covid-19, recenti dati e ricerche che hanno focalizzato l’attenzione su “come” bambini, ragazzi, famiglie e categorie piu’ fragili, abbiano vissuto e convissuto con le diverse fasi di lockdown, hanno confermato che l’emergenza sanitaria non è stata uguale per tutti e non ne usciremo tutti uguali anche in considerazione delle condizioni di partenza, contrassegnate da un enorme “gap”.
Questa sorta “diseguaglianza” si riflette in particolar modo sull’attuale status dei minori laddove si registra che di questa categoria, tanti versano in “povertà assoluta” e pertanto gli ambiti attenzionati sono quelli della “povertà materiale” che va di pari passo con quella “alimentare”.
Ed invero, si è assistito in maniera rapida, al peggioramento delle condizioni di vita delle famiglie italiane a causa del lockdown che ne ha di fatto determinato una grave riduzione della capacità reddituale ed economica per cui in specie, le loro risorse si sono drasticamente ridotte al punto che quasi la metà delle famiglie ha dovuto ridurre le spese alimentari, rimandare il pagamento delle bollette e rinviare anche quello dell’affitto o del mutuo.
Altra significativa “diseguaglianza”, concerne le opportunita’ di accesso all’istruzione in considerazione del fatto che siffatto gap amplifica con il cds. digital divide (divario digitale).
In particolare, lo spostamento online della didattica, ha di fatto rappresentato uno dei principali fattori di divario nelle opportunità educative, con riguardo alla possibilità di accesso alla strumentazione digitale.
A questi si aggiungono ancora, le differenti condizioni abitative giacchè come è ampiamente noto, la pluralità dei minori vive in case prive di spazi adeguati allo studio (soprattutto per i più piccoli), nonché il differente grado di disponibilità e possibilità di supporto alla didattica da parte dei genitori, con riferimento prevalente alle loro condizioni occupazionali ed ai loro livelli di istruzione.
Mio malgrado, la chiusura forzata delle scuole di ogni ordine e grado durante il lockdown, ha portato a confrontarsi con le ulteriori fratture e distanze tra i bambini e i ragazzi considerato che alcuni, hanno visto garantito il proprio accesso alla scuola per contro altri, ne sono rimasti esclusi, principalmente a causa della scarsa disponibilità della strumentazione necessaria.
In questo ampio ambito, si va a rimarcare che è mancato un pregnante e concreto intervento pubblico in termini di “policy”, volto prontamente a limitare ovvero ad arrestare questa attuale ed insanabile diseguaglianza.
Altra ricaduta oltre a quella dei percorsi di istruzione degna di nota, concerne lo status dei ragazzi e ragazze, dimenticati completamente tra Dad e isolamento sociale in special modo per coloro di età ricompresa tra i 14 e i 18 anni, che ormai da UN ANNO, non frequentano la scuola in presenza (eccetto la breve parentesi di qualche settimana tra settembre e ottobre) e hanno vista sospesa la possibilità di frequentare anche attività sportive ed extrascolastiche.
Tutto ciò desta preoccupazioni allarmanti da diversi punti di vista ed in specie, anche esperti in ambito pedagogico e clinico, lanciano una sorta di richiamo rispetto alle loro condizioni di reclusione, di assenza di relazioni sociali determinata appunto dalla condizione di reclusione domestica.
Diffusi e prevalenti sono stati d’animo come la stanchezza, l’incertezza, la irritabilità, l’ansia, il disorientamento e nervosismo, apatia; un quadro generale che porta molti ragazzi a considerare questo anno di pandemia un anno sprecato, con le ovvie conseguenze…
Da non sottovalutare poi, che questa situazione di emergenza sanitaria e la chiusura delle scuole, è stata fronteggiata dalle famiglie a prescindere dal livello culturale e socio economico, in piena autonomia e in piena solitudine in quanto nella maggior parte dei casi, i servizi di sostegno nonostante i molti sforzi, non sempre sono riusciti a garantire un adeguato e continuativo sostegno.
E le categorie fragili? E’ il caso di sottolineare l’evidenza conclamata che “chi era già fragile, oggi lo è di più”…..
Si pensi in particolare, a bambini e ragazzi con disabilità, che sono stati a lungo impossibilitati ad accedere alle terapie specialistiche, ai centri riabilitativi, a spazi di socialità e alle loro famiglie che si sono trovate a moltiplicare gli sforzi di conciliazione a causa dell’aggravio dei compiti di cura.
Si pensi ancora, ai bambini e ragazzi che si trovano fuori famiglia, in particolare in contesti comunitari che hanno visto (e vedono tutt’ora) fortemente limitate le proprie possibilità di incontrare in presenza i propri familiari; ma anche a tutti i bambini e ragazzi che hanno faticosamente tenuto i rapporti con i genitori a distanza perché magari allontanati, detenuti o separati, o che vivono in nuclei familiari conflittuali ovvero, in contesti caratterizzati da violenza verbale, fisica, psicologica, senza più la presenza di educatori domiciliari o la frequenza di centri diurni o di altri supporti educativi.
MA COSA SERVE?
Bisogna prima di tutto partire dalla difesa della tutela dei diritti e stimolare il confronto per costruire l’educazione e la società del futuro. Altresì occorre garantire le pari opportunità al fine di superare queste diseguaglianze e contestualmente, garantire lo sviluppo e la crescita dei bambini e dei ragazzi.
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