“Non esistono attività non essenziali, dietro quel negozio c’è una famiglia”. A Gerenzano la protesta di Filomena
La protesta di una piccola commerciante di Gerenzano, che lo scorso 15 marzo ha nuovamente dovuto chiudere il proprio negozio: «Non esistono attività "non essenziali", dietro quel negozio c'è una famiglia, una persona che lavora e tanti sacrifici»
“Non esistono attività non essenziali, perché chi ha aperto quelle attività ci lavora per vivere“. Sono queste le parole scritte sul cartello che Filomena Cervo, commerciante di Gerenzano, da qualche giorno ha affisso fuori dal proprio negozio in segno di protesta. Lei, che dal 2013 ha un piccolo negozio di sartoria e vendita di abbigliamento femminile in centro paese, ha dovuto nuovamente abbassare la saracinesca della propria attività lo scorso 15 marzo, come previsto dalle norme per la zona rossa.
A marzo 2020 la donna aveva deciso di mettere a disposizione la propria professionalità e il proprio tempo per cucire per la sua comunità mascherine, dispositivo che appena scoppiata la pandemia non era facile reperire. Ora però, dopo un anno, c’è esasperazione e amarezza nelle sue parole, perché lei con la sua attività lavorativa contribuisce al mantenimento della sua famiglia. «Andiamo avanti con queste chiusure e aperture dallo scorso anno, come altre attività veniamo catalogati come “non essenziali”, il mio lavoro però mi permette di vivere – racconta Filomena -. Dallo scorso anno facciamo accedere in negozio solo una persona alla volta con la mascherina e nel rispetto di tutte le norme, allora non capisco perché noi siamo chiusi, mentre i centri commerciali dove accedono tante persone contemporaneamente sono aperti. Io voglio rispettare le regole, però non capisco perché alcuni devono fare il sacrificio e altri no».
In questi periodi di chiusura affrontati fino ad ora la commerciante si è comunque resa disponibile a rammendare abiti su ordinazione, ritirando e consegnando il prodotto direttamente a casa del cliente: «Lo faccio comunque per offrire un servizio, però mi hanno chiamata in pochissimi e comunque non si può definire lavoro, sostanzialmente siamo chiusi».
Una situazione non semplice, considerando che le spese fisse per un negozio ci sono sempre, dall’affitto del locale alle bollette. «Sono fortunata perché mio marito fa un altro lavoro, altrimenti come avremmo fatto? Non posso sopravvivere se mi imponete continue chiusure. Non esistono attività “non essenziali”, dietro quel negozio c’è una famiglia, una persona che lavora e tanti sacrifici, perché nessuno ci ha regalato nulla. Siamo lavoratori come gli altri, ma se non lavoriamo noi non incassiamo».
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