Kronos e Kairos, l’economia ai tempi della pandemia
L'incertezza generata dal Covid unita ai provvedimenti presi dal Governo hanno messo in stand by aziende e lavoratori. All'inizio di marzo 2020 in provincia di Varese si registra il primo caso in Italia di riconversione nella produzione di mascherine
Il coronavirus oltre alle persone ha contagiato anche l’economia. L’incertezza generata dallo scoppio della pandemia e il suo perdurare nel tempo hanno scosso il sistema economico nelle sue fondamenta. I decreti emanati a raffica dal Governo, soprattutto all’inizio della pandemia, hanno creato un doppio choc, sul lato dell’offerta e su quello della domanda. (nella foto: la copertina del libro #Impresecheresistono)
Sono provvedimenti necessari ad arginare l’impatto di un virus che nella prima ondata ha mietuto molte vittime sull’asse Brescia – Bergamo – Milano. Il nord produttivo è stato colpito al cuore ma la reazione delle imprese e dei lavoratori è stata straordinaria.
La provincia di Varese, che ha una tradizione importante nel settore del tessile, all’inizio di marzo 2020 fa registrare il primo caso in Italia di riconversione della produzione da abbigliamento sportivo in mascherine. È una risposta alla chiamata drammatica del Paese che ha bisogno di dispositivi di protezione individuale per evitare la propagazione del contagio.
Nei primi mesi della pandemia le mascherine sono il bene più richiesto e più introvabile, ad eccezione dei mercati cinesi, turchi e indiani. Le commesse di milioni di pezzi spesso vengono bloccate e chi è impegnato negli ospedali e negli ambulatori si ritrova a dove fare i conti con una mancanza che può fare la differenza tra la vita e la morte. Le associazioni datoriali si adoperano in ogni modo per ricostituire filiere “nostrane” per garantire una produzione che però non è mai sufficiente a soddisfare una domanda che sembra infinita.
Il Paese si spacca su un’alternativa che non dovrebbe essere mai posta, tra salute e lavoro. La tensione cresce nelle fabbriche, soprattutto nelle più grandi dove il pericolo di assembramento viene percepito dai lavoratori come più probabile. Il protocollo nazionale sulla sicurezza anticovid, firmato dal Governo e dalle parti sociali, e la cassa integrazione Covid, che inizia ad essere richiesta dalle aziende, riportano un pò di calma.
Lo stesso non si può dire per i lavoratori frontalieri che in molti casi vengono letteralmente obbligati dalle aziende svizzere a trasferirsi oltre frontiera per poter garantire l’apertura delle fabbriche in caso di chiusura improvvisa delle dogane. In alcuni casi si parla anche di dormitori improvvisati all’interno della fabbrica. La paura di perdere il lavoro è molto alta e quindi in tanti accettano il trasferimento, nonostante il rischio.
Sul territorio preoccupa il destino dell’aeroporto di Malpensa e di tutto l’indotto. Il blocco dei voli, l’azzeramento degli spostamenti, lo stop della macchina del turismo gettano un’ombra cupa sul futuro di ventimila lavoratori.
La pandemia purtroppo non è ancora finita e il clima di incertezza, con il nuovo anno, non si è ancora diradato. Dopo un 2020 definito l’anno orribile e una caduta del Pil che ha sfiorato il 9% a livello nazionale, tutti aspettano la ripartenza. ùMa il futuro si preannuncia molto complicato a cominciare da un piano vaccini che ancora non decolla.
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