194 anni fa oggi il terribile incendio che distrusse gran parte di Saronno
Avvenne il 18 marzo 1827 e causò la distruzione di 36 case, lasciando circa 800 persone nella totale miseria. Una terribile pagina della storia della città di cui oggi rimane un monumento
Ricorrono quest’oggi 194 anni dal terribile incendio che il 18 marzo 1827 sconvolse il rione San Cristoforo, nel cuore della vecchia Saronno, paese che allora contava circa 4.000 abitanti.
Della drammatica vicenda esiste un dettagliato resoconto di uno dei testimoni oculari dell’epoca, che qualche settimana dopo l’accaduto scrisse ad un conoscente milanese per metterlo a conoscenza dei terribili fatti avvenuti a Saronno. Lo scrittore anonimo descrive così quella fredda domenica di marzo in cui avvenne la tragedia: “Il 18 del corrente marzo circa le ore tre pomeridiane una scintilla spiccatasi, com’è grido, da un manipolo di paglia, su cui da un fanciullo recavansi brage di costa, e molto dappresso al casolare di certo Angelo Porro, situato al lato stremo settentrionale di Saronno, bastò ad incendiare collà celerità di un fulmine un pagliaio, e da questo, per veemenza del vento, anzi della boreale bufera, a propagare su di una linea molto estesa protendentesi da prima al sud, indi al sud-est, e da ultimo anche al sud-ovest un lago frementissimo di fiamme“.
Sull’origine dell’incendio esistono più versioni. Una delle più accreditate narra che in realtà fu Marta Campi, moglie di Antonio Porro, ad appiccare involontariamente il fuoco mentre trasportava un braciere da una casa all’altra. La donna, in avanzato stato di gravidanza, non riuscì a spegnere le fiamme che a causa del vento si propagarono velocemente e divennero incontrollabili.
L’avanzare impetuoso delle fiamme spinse un certo Flaviano Banfi alla stazione della posta a cavalli sulla strada varesina, detta Casa Morandi, che inviò subito una richiesta di aiuto alla vicina Milano. Poche ore dopo arrivarono in tutta risposta due macchine idrauliche dal corpo dei pompieri di Milano. A queste si aggiunse poi una terza macchina idraulica mandata dal Duca Litta di Lainate.
L’incendio venne definitivamente domato soltanto alcuni giorni dopo. Il resoconto fu drammatico: le fiamme avevano distrutto 36 case, lasciando circa 800 persone nella totale miseria.
Scrive l’anonimo testimone: “Alcun centinaio di miserabili senza tetto, senza roba, senza vitto, nudati di tutto, erravano squallidi e sformati dalla patite angosce; o cupi silenziosi e stupefatti stavano, o giacevano dovunque dalla parentevole tenerezza, dalla carità fraterna, veniva loro aperto ospitale ricovero e ristoramento. Assai lattanti tentavano invano le fonti della lor nutrizione inaridite dallo sbigottimento nel seno materno, e i queruli loro vagiti ti destavano inesprimibile commozione al pianto; assai vecchi infermi lamentavano la loro decrepitezza protratta all’orrore, alla tribolazione di sì importabil disastro; alcune madri sul primo albeggiare del giorno scolpite in volto di crudel incertezza discorrevano con cuor trepidante a cercar i figli smarriti la notte; in una parola regnava in tutta Saronno, in ogni ordine e condizion di persone una sì muta tristezza, tale abbattimento di animi, un siffatto compianto, quale suole ingenerarsi da grandi sventure, che colpiscano all’impensata numerose popolazioni“.
“L’incendio colpisce il quartiere più povero, quello dei cortili su cui s’affacciano abitazioni miserabili, con soffitti,s cale, ballatoi in legno e stalle, fienili, pagliai; le contrade per lo più dei poveri contadini che non posseggono né abitazioni né terre, ma soprattutto fatalisticamente il perpetuarsi d’una condizione di bassissima feudalità” si legge in un documento pubblicato dal Circolo Numismatico Saronnese.
Nel 1830 i saronnesi eressero il monumento della Riconoscenza in piazza Grande, l’attuale piazza Libertà, in segno di gratitudine per l’aiuto ricevuto, in particolar modo da Milano, durante il tragico incendio. Il monumento, opera di Gaetano Motelli, è conosciuto anche come “Chiocchina”, da Marta Campi, moglie di Antonio Porro detto “Chiocchin”, che involontariamente causò l’incendio. L’opera raffigura una figura femminile affiancata da un volatile, simbolo della riconoscenza.
Sotto il monumento due epigrafi:
“All’inclita Milano, che distrutte in questo Comune, oltre XXX abitazioni per ferale incendio, del XVIII marzo MDCCCXXVII, con largizioni magnifiche, confortò, sottrasse all’infortunio CL famiglie, i Saronnesi ponevano, di gratitudine, di amore, monumento perenne”.
“L’anno 1827 al 18 marzo, la violenza delle fiamme, forsennata per il vento aquilonare che soffiava, più di 800 borghigiani, dalle sconquassate e arse abitazioni, cacciò fuori all’aperto, la pietà dei milanesi, con moltissimo denaro nello spazio d’un mese raccolto, pressochè tutto ricostruì, apprenda ogni futura generazione, alla metropoli benefica, degli antenati la riconoscenza e il pegno d’amore a serbare fin quando sarà possibile”.
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