Luca Attanasio e il premio Nassiriya per la Pace: “Abbiamo il dovere di dare l’esempio”
Le parole dell'ambasciatore italiano, originario di Limbiate, ucciso in Congo: lo scorso autunno gli è stato assegnato un riconoscimento per il suo impegno insieme alla moglie Zakia
Luca Attanasio, il diplomatico di Limbiate ucciso in Congo lunedì 22 febbraio insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista, lo scorso autunno era stato insignito del premio Nassiriya per la Pace per il suo impegno volto alla salvaguardia della pace tra i popoli e per aver contribuito alla realizzazione di importanti progetti umanitari distinguendosi per l’altruismo, la dedizione e lo spirito di servizio a sostegno delle persone in difficoltà.
Nel video disponibile sul profilo Facebook di Licusati Live l’ambasciatore 43enne spiega come viveva con la sua famiglia nel paese africano, le sue complessità e la volontà di cercare di aiutare il più possibile i più deboli, i bambini e le donne, sole, attraverso il lavoro dell’ambasciata e attraverso la ong fondata insieme alla moglie Zakia Seddiki, Mama Sofia.
Parole molto toccanti ascoltate a poche ore dalla morte di questo giovane diplomatico che amava l’Africa, ne conosceva i tanti pregi, ma anche la pericolosità e i limiti.
«Mi hanno chiesto cosa lascerà il Covid nelle nostre vite una volta finita l’emergenza. Penso che lascerà una riflessione intorno a cosa è essenziale nella vita, e su quello dovremo costruire il futuro – ha detto Attanasio a Licusati Live -. Il Congo è un paese complicato, tante delle cose che diamo per scontate, come la pace, la salute, l’istruzione, sono un privilegio per pochissimi. Kinshasa, dove ha sede l’ambasciata, la città cresce di 500 mila persone all’anno, che migrano in città e diventano poveri: in campagna c’è la famiglia, almeno quella, in città si diventa poveri, soli».
«Il premio che mi è stato assegnato e di cui sono orgoglioso e fiero ha tre capisaldi: pace, famiglia, solidarietà. Il Congo ha sete di pace, che si è conquistata con 3 guerre, ma è un gigante con piedi fragili, con vicini importanti che hanno vissuto momenti di crisi, che vive in una situazione difficile, faticosa per la popolazione, tanti sono gli appelli per la pace in quella regione. Gli italiani in Congo sono un migliaio, l’ambasciata deve stare loro vicini: un tempo erano fino a 5 mila, era una meta economicamente interessante, oggi sono meno, ci sono imprenditori, ma la maggior parte sono missionari religiosi e laici, persone che vivono in zone difficilmente accessibili e che condividono i mezzi con le popolazioni del posto, dedicano la loro vita agli altri. Ci sono medici che vivono con 80 dollari al mese, per servizio e per insegnare a operare agli aspiranti dottori che vivono nella foresta, per esempio. Noi con la nostra associazione facciamo una piccola cosa, insieme a tante altre realtà – ha aggiunto Attansasio -. Noi abbiamo tre figlie piccole: ci dicono che il Congo è pericoloso, per me fare l’ambasciatore è un po’ come essere in missione, abbiamo il dovere di dare l’esempio, dobbiamo essere ambasciatori in tutto, viviamo lì e cresciamo lì la nostra famiglia. La solidarietà è rivolta ai bambini di strada: ce ne sono tanti, Zakia, mia moglie, ha deciso di fondare una Ong che possa aiutarli facendo leva sui nostri contatti e cercando di accompagnare ragazze madri e bambini abbandonati ad una vita migliore. Il Congo è questo e tanto altro, è complesso, difficile da spiegare e da raccontare, ma affascinante e diverso da quello che viviamo ogni giorno qui a casa nostra in Italia».
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