Chiusura Henkel di Lomazzo, i lavoratori: “Toglierci il lavoro significa toglierci la dignità”
C'è rabbia e sgomento tra i lavoratori della Henkel per una decisione presa nonostante il periodo di pandemia e con un bilancio dell'azienda comunque in profitto nell’ultimo anno
“Il Dixan non lava le coscienze”. È questo il grido ripetuto più volte questa mattina (16 febbraio) durante la prima giornata di sciopero dai lavoratori della multinazionale tedesca Henkel, che pochi giorni fa ha annunciato la decisione di chiudere entro giugno 2021 lo stabilimento di via Como.
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Lo stabilimento di Lomazzo è il primo nato in Italia, nel 1933, col nome di Società Italiana Persil. Lì si producono ammorbidenti e detersivi per il bucato e la pulizia dei piatti a mano per conto dei maggiori marchi del settore, Dixan, Nelsen, Perlana.
C’è rabbia e sgomento tra i lavoratori della Henkel per una decisione presa nonostante il periodo di pandemia e con un bilancio comunque in profitto nell’ultimo anno. A rischio ci sono circa 150 lavoratori tra Henkel e indotto: si tratta di 81 dipendenti Henkel, 14 dipendenti Alpla che per Henkel fa i flaconi di plastica, 15 dipendenti della Castelli Livio che fa autotrasporti e depositi, 21 dipendenti della Polo dei Servizi fa carico camion e prodotti finiti, 13 dipendenti Nit che fa manutenzione, 6 dipendenti della Cattaneo Impianti che fa manutenzione elettrica, 3 dipendenti Sodexo che si occupa della mensa e 7 dipendenti Dsi che fa servizio di portierato.
«Siamo qui per protestare contro questa decisione della casa madre Henkel che senza alcun preavviso ha deciso di lasciare a casa oltre 150 persone, senza alcuna motivazione reale perché l’azienda non ha nessuna carenza economica, è solo una decisione politica dell’azienda – raccontano due operai che lavorano nello stabilimento da oltre 30 anni -. È da trent’anni che siamo qui dentro a lavorare, a dicembre di quest’anno ci hanno anche bloccato le ferie natalizie per una richiesta di maggior produzione. Nonostante il periodo di pandemia non abbiamo fatto un giorno di cassa integrazione. Abbiamo sempre lavorato nel 2020, con sabati e domeniche aggiuntive e quindi per noi è stato un fulmine a ciel sereno».
Una chiusura che peserà molto sui lavoratori, soprattutto sulle famiglie monoreddito: «Mia moglie ha perso il lavoro già da due anni – racconta un operaio -. Ho un mutuo sulle spalle e un bambino a cui provvedere. Non è giustificabile una decisione del genere in piena pandemia».
«Toglierci il lavoro in un periodo come questo è una scelta che non riusciamo a comprendere – spiega un altro lavoratore -. Lavoriamo per portare a casa il pane per la nostra famiglia, se ci tolgono il lavoro ci tolgono la dignità, non possiamo accettarlo».
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