Per non dimenticare: 27 gennaio 2021, Giorno della Memoria
L'importanza della memoria nella giornata scelta dall'Onu per ricordare le vittime delle deportazioni e dell'Olocausto
Il fenomeno del negazionismo non è un problema solo di oggi, nell’epoca del corona virus, ma ha radici ben più lontane.
La manipolazione della storia serve a taluni per tentare, in molti casi non invano, di riaccreditare ideologie estremistiche che nei periodi di crisi trovano terreno propizio. Tanto che già nei decenni scorsi, mentre erano ancora in vita migliaia di sopravvissuti “tatuati con un numero sul braccio” qualcuno ha tentato di negare persino l’Olocausto.
L’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), rifiutando qualsiasi negazione dell’Olocausto come evento storico, nel novembre 2005, ha adottato per consenso la Risoluzione 60/7 condannando “senza riserve” tutte le manifestazioni (su base etnica o religiosa) di intolleranza, incitamento, molestia o violenza contro persone o comunità. Richiamando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ribadisce che “l’Olocausto, che provocò l’uccisione di un terzo del popolo ebraico e di innumerevoli membri di altre minoranze, sarà per sempre un monito per tutti i popoli sui pericoli causati dall’odio, dal fanatismo, dal razzismo e dal pregiudizio”.
L’Olocausto è stato un punto di svolta nella storia, che ha spinto il mondo a dire “mai più”. Oggi più che mai gli insegnamenti che ne derivano sono un monito sui pericoli degli estremismi e sull’importanza di prevenire, affinché crimini come il genocidio non si ripetano nel futuro. La data prescelta, il 27 gennaio, si riferisce alla data di liberazione, da parte delle truppe sovietiche della 60ª Armata, del campo di concentramento di Auschwitz nella città polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz). Nonostante i sovietici avessero liberato circa sei mesi prima di Auschwitz i campi di concentramento e di sterminio di Majdanek, Belzec, Sobibor e Treblinka.
L’Italia ha formalmente istituito in precedenza la giornata commemorativa, con la legge 20 luglio 2000 n. 211, nello stesso giorno deciso poi dall’ONU. Essa ricorda le vittime dell’Olocausto, delle leggi razziali e coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere i perseguitati ebrei, nonché tutti i deportati militari e politici italiani nella Germania nazista. Dopo l’8 settembre 1943 a seguito della dichiarazione della resa, molti militari del regio esercito vennero abbandonati senza ordini: ne fecero le spese, in particolare, 700mila soldati, catturati ed internati nei lager. Di essi il 10% non fece più ritorno a casa.
Le immagini della galleria si riferiscono al più “vicino” campo di Mauthausen.
Visto dalla riva del fiume Danubio, in cima alla collina ha quasi l’aspetto “gradevole” di un castello, con le sue pietre bianche e grigie e le torrette che si innalzano lungo le alte mura perimetrali. Nulla lascia presagire il dramma che centinaia di miglia di vittime hanno dovuto subire. L’8 agosto 1938, cinque mesi dopo la cosiddetta “annessione“ (“Anschluss”) dell’Austria al Reich, arrivarono i primi prigionieri provenienti dal campo di concentramento di Dachau. La scelta di costruire il Lager in quel luogo fu la stessa che indusse successivamente alla costruzione del vicino sotto-campo di Gusen, nel 1940: la presenza di cave di granito.
La funzione prevalente del Lager fu la persecuzione e la reclusione definitiva degli oppositori politici ed ideologici, fossero essi reali o presunti, il che significava che in quei luoghi le condizioni di reclusione erano durissime. Tra il 1942 e il 1943, i prigionieri vennero rinchiusi in numero sempre maggiore; per gestire la quantità di prigionieri, che aumentò notevolmente, nacque l’esigenza di fondare numerosi campi-satellite.
Dopo la seconda metà del 1944 furono trasportati a Mauthausen migliaia di deportati provenienti soprattutto dai campi di concentramento ubicati più ad Est. Nella primavera del 1945 furono smantellati i campi-satellite situati ad est di Mauthausen, come anche i campi per gli ebrei ungheresi. Tutti i prigionieri furono convogliati verso Mauthausen/Gusen per mezzo di vere e proprie marce della morte, finendo per provocare uno spaventoso sovraffollamento.
La maggior parte dei deportati presenti a Mauthausen proveniva dalla Polonia, seguiti da cittadini sovietici e ungheresi, ma c’erano anche numerosi gruppi di tedeschi, austriaci, francesi, italiani, jugoslavi e spagnoli. Complessivamente, l’amministrazione delle SS del Lager registrò uomini, donne e bambini provenienti da più di 40 Nazioni. In totale, durante il periodo tra la costruzione del Lager nell’agosto del 1938 e la sua liberazione da parte dell’Esercito americano nel maggio del 1945, a Mauthausen furono deportate quasi 200.000 persone.
Migliaia di prigionieri furono fucilati, o uccisi con iniezioni letali, altri fatti morire di botte, altri ancora di freddo. Almeno 10.200 prigionieri furono assassinati per asfissia, la maggior parte, circa 27.000, nelle camera a gas o rinchiusi in baracche sigillate o in un autobus che faceva la spola fra Mauthausen e Gusen.
La maggioranza dei prigionieri dei Lager, però, non sopravvisse allo sfruttamento spietato della manodopera, accompagnato da maltrattamenti, denutrizione, mancanza di vestiti adeguati e di cure mediche. In totale, a Mauthausen, Gusen e negli altri campi-satellite morirono almeno 90.000 prigionieri, dei quali quasi la metà perì durante i quattro mesi precedenti la liberazione.
Gli italiani a Mauthausen
Arrivarono in prevalenza dopo l’8 settembre del ’43, meglio dire tra la fine del ’43 e i primi mesi del ’44 e furono accolti, anche dagli stessi deportati di altra nazionalità, con evidente ostilità e con violenza da parte delle SS (“italiani traditori” erano chiamati).
Molti di loro erano ex militari sbandati dopo il dissolvimento dell’esercito, renitenti al costituendo esercito repubblichino, operai. Divennero “Triangoli Rossi”, ossia prigionieri “politici”: agli occhi dei nazisti pericolosi avversari che dovevano morire o subito o poco alla volta nel lager. Si stima che circa 6mila di essi non fecero più ritorno a casa.
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