Lutto al tempo del Covid. Antonella e Carla raccontano la loro storia su Radiorizzonti in Blu
Antonella e Carla hanno raccontato su Radiorizzonti in Blu la perdita dei rispettivi mariti a causa del Coronavirus, esprimendo il proprio rammarico per non essere potute stare vicino al proprio caro negli ultimi istanti di vita
I racconti di Antonella e Carla, due saronnesi che a causa del Coronavirus hanno perso i propri mariti, sono stati i protagonisti dello speciale “Raccontami una storia“ di oggi (21 gennaio) su Radiorizzonti in Blu.
L’obiettivo del programma è quello di raccontare le esperienze di chi indirettamente o direttamente è entrato a contatto con il Coronavirus e di commentarle poi con la dottoressa di medicina generale Mariani Chiara, con il cappellano dell’ospedale di Saronno don Vincenzo Bosisio e con la dottoressa Simona Torresin del Polo Saronnese di Psicologia.
«Ho perso mio marito – racconta Antonella – è iniziato tutto con una febbre a 38, sembrava un’influenza. Ho contattato la mia dottoressa e abbiamo iniziato la terapia antibiotica. Purtroppo lui però non stava bene, i giorni che sono venuti poi dopo peggiorava, la febbre si era alzata a 39. Il giovedì dopo lui ha messo le scarpe sulla poltrona e qui di fianco ci sono ancora le sue ciabatte, perché non riesco a spostarle, è salito in macchina con mia figlia ed è andato al pronto soccorso. Da lì è iniziato tutto, i primi giorni una videochiamata veloce anche se aveva la maschera riusciva a farla. Poi ha iniziato con il casco perché lo hanno messo in terapia intensiva e lì pochi secondi tutti i giorni un saluto veloce lo faceva. Il venerdì mattina purtroppo mi hanno avvisato che l’avevano intubato, da lì sono stati 24 giorni bruttissimi».
La donna ha poi espresso il proprio rammarico di non aver potuto assistere il marito negli ultimi istanti di vita: «Quello che non riesco ad accettare è di non essere stata lì con lui, tenergli la mano, abbracciarlo, baciarlo, accompagnarlo.Ogni tanto mi dico che non è possibile, che non è vero, faccio molta fatica ad accettarlo. Tutti mi dicono che la vita va avanti, ma io dovrò vivere e convivere con questo dolore immenso. Secondo me era anche importante per lui che sentisse la mia voce. So che negli ultimi momenti una dottoressa gli ha tenuto la mano e l’ha accompagnato così».
È intervenuta poi la dottoressa Torresin che ha cercato di spiegare come poter elaborare un lutto in queste condizioni: «Il lutto è una tappa obbligata della nostra esistenza. I lutti a cui assistiamo oggi sono dei lutti che possiamo definire quasi sospesi, nel senso che resta un evento che rimane congelato in una atmosfera di incredulità e incertezza che amplifica il dolore. Fondamentale come primo passaggio del lutto, a parte il fattore tempo che è un fattore che non possiamo controllare perché il lutto necessita di un lungo periodo di elaborazione che è soggettivo, sicuramente fondamentale sia per la persona che le persone che le stanno vicino è quello di accogliere e normalizzare le reazioni del lutto e quindi permettersi e permettere di poterle esprimere. Non è infatti l’espressione del lutto che fa male, ma semmai la soppressione delle emozioni. Dare parola al dolore, farlo emergere, dettagliarlo ed entrarci dentro permette anche di dare una forma a quello che abbiamo dentro e nel momento che riusciamo a nominare delle cose diventano più affrontabili. Ovviamente si possono trovare varie formule come la parola, la scrittura, il disegno: l’importante è poter esprimere questo dolore. È importante anche ripercorrere gli eventi della memoria perché è un modo necessario e naturale per cercare di far fronte a quello che è accaduto. Parlare di chi non c’è più, collocando nel tempo e nello spazio ricordi ed emozioni è un modo per cercare di esprimere ciò che si muove dentro».
«Il lutto è un evento personalissimo e non esiste una ricetta uguale per tutti, però ci sono delle azioni che ci possono aiutare e che possono sostenere questo processo: inizialmente accettare la realtà della perdita e lasciarsi attraversare dal dolore, quindi non sopprimerlo. Potrebbe essere utile trovare un luogo e un tempo durante la giornata in cui potersi dedicare a questo dolore, un momento prestabilito in cui potersi concedere di lasciarsi andare al dolore. Recuperare ricordi e sentimenti legati alla persona amata, non solo il momento straziante della morte, ma anche cose belle di questa persona, la sua personalità, le sue passioni, i pregi e i limiti; utile sarebbe riuscirlo a fare in condivisione, con altri membri della famiglia, amici e conoscenti. Quando poi si è pronti si deve lasciar andare attaccamenti eccessivi e cercare di riadattarsi a questo mondo che è cambiato. Il lutto purtroppo trasforma il nostro mondo, non si può tornare a ciò che c’era prima, ma bisogna fare lo sforzo di cercare di adattarsi ad un mondo che sicuramente è cambiato cercando di fare delle piccole azioni concrete: riabitare lo spazio della casa, cercare di spostare degli oggetti, mantenerne alcuni per la memoria ma rioccupare questo spazio. In ultimo cercare di mantenere una connessione perché l’elaborazione del lutto è quando di fronte al dolore a all’angoscia si sostituisce la nostalgia. Quindi questo senso di presenza di questa persona che terremo sempre con noi ma che non ci impedisce più di affrontare nuove esperienze. Sicuramente un’ultima cosa è quella di non aver paura e vergogna di chiedere aiuto a chi ci sta vicino e nel caso in cui non sia sufficiente chiedere aiuto a dei professionisti».
Don Vincenzo, cappellano dell’ospedale di Saronno, ha poi spiegato i momenti di difficoltà e di scoraggiamento che medici e infermieri si sono trovati ad affrontare vedendo continuamente intorno a loro persone che venivano a mancare: «Mi ha fatto tenerezza una dottoressa, perché dopo che è morta una persona mi si è avvicinata, mi ha preso la mano e ha appoggiato la testa sulla mia spalla quasi a chiedere anche lei un po’ di sostegno e un po’ di coraggio – ha commentato don Vincenzo -. Ricordo che in alcuni reparti c’erano 5 o 6 persone in rianimazione e non se n’è salvato uno, quindi anche per loro che fanno questo lavoro vedere che non si arriva ad una soluzione provoca anche dolore».
È il racconto di Carla la seconda storia ascoltata. La donna ha spiegato il doloroso distacco con il marito Giancarlo, morto lo scorso novembre all’ospedale di Saronno a causa del Covid.
«La morte di una persona cara è sempre dolorosa ma quando accade senza la vicinanza, senza la possibilità di dirsi quelle ultime parole che ti rimarranno nella mente per sempre, è ancora più devastante e difficile da superare – ha scritto Carla -. Ci sono state le videochiamate, soprattutto nella prima settimana in cui sembrava che le cure facessero effetto e lui riusciva a sorriderci e a parlare un pochino. Nella seconda settimana le sue condizioni sono peggiorate, gli è stato messo il casco e da quel momento non è stato più possibile parlargli. Nonostante la sua forza incredibile di chiamarci e farsi vedere, di salutarci con la mano e di mandarci baci. Ogni tanto alzava il pollice come per rassicurarci, anche se sapeva benissimo cosa gli sarebbe successo. Mi tormenta il ricordo di quelle ultime videochiamate, le foto con il casco che ci inviava, il pensiero di tutte le cose che avrebbe voluto dirmi, che avrei voluto dirgli e che sono rimaste dentro di noi. Mio marito aveva altre patologie è vero, ma con tutte le sue pastiglie teneva tutto sotto controllo. I suoi polmoni non erano certo in ottime condizioni, ma gli hanno permesso di superare tre interventi chirurgici negli ultimi anni. Purtroppo il Covid è stato più forte di lui. Non usciva di casa, io e mia figlia uscivamo solo per la spesa, abbiamo cercato di fare attenzione, usare le precauzioni ma fino a quando non vieni coinvolto direttamente non ti rendi conto di quanto sia pericoloso e infido questo virus. Sono vicina a tutti coloro che stanno soffrendo come noi».
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