Il peso dello smartworking per le donne madri nella rubrica ParliamoDi de “La Rivincita”
In un nuovo capitolo della sua rubrica social la neonata associazione culturale di Saronno affronta il tema dello smartworking da una prospettiva differente: "Lavorare e occuparsi allo stesso tempo di casa e figli è una vera sfida di sopportazione"
Le difficoltà legate allo smartworking per le donne madri nella rubrica #ParliamoDi dell’associazione culturale “La Rivincita” di Saronno. In un nuovo capitolo della sua rubrica social, la neonata associazione affronta il tema dello smartworking, “esploso” con la pandemia, da una prospettiva differente.
Il presidente, l’avvocato Carmen Federico, concentra l’attenzione sui problemi del lavoro da casa per le donne già occupate, nel contesto casalingo, dalla cura della casa e dei figli: “Lavorare e occuparsi allo stesso tempo di casa e figli è una vera sfida di sopportazione”.
Oggi per la rubrica #ParliamoDi…affrontiamo un argomento molto attuale relativo a quello che può essere definito “funambulismo della donna-madre che lavora in smartworking”.
Sappiamo tutti che la diffusione del Coronavirus ha dato impulso all’esperimento dello “smart working”, che è una modalità lavorativa “rivoluzionaria” che ha coinvolto milioni di lavoratori dipendenti e che si é rivelata, di fatto, provvidenziale in tale periodo di emergenza.
Tuttavia, se il “lavoro agile” per alcuni aspetti ha consentito ai lavoratori di lavorare da casa e quindi di conciliare la necessità del periodo con quella professionale e, per le aziende, ha rappresentato una “manna dal cielo”, per contro nasconde sicuramente un lato oscuro da cui ne sono derivate una pluralità di difficoltà, in particolar modo se si prende in esame il contesto in cui si viene a focalizzare, non essendo una logica conseguenza di una “scelta libera, consapevole e condivisa”, ma di una sopravvenuta “imposizione”.
Esso si è rivelato un vero e proprio peso poichè, con il perdurare della pandemia ed in forza delle restrizioni del Governo volte ad arrestare la diffusione del virus, da “status di emergenza” si è tramutato in “status duraturo” e di qui le significative conseguenze che hanno intaccato la sfera cognitiva e lo stile di vita dei lavoratori e in particolare della donna-madre, con serie ripercussioni sulla sua sfera relazionale e motivazionale.
Sul piano generale, il lavoro da casa e’ già di per sé un lavoro svolto in completa “solitudine”, lontano dai colleghi, dalla sede del posto di lavoro. Viene a mancare il contatto umano che determina il senso di isolamento, di disorientamento, stati di ansia, esaurimento e preoccupazioni per il futuro.
E inoltre, la donna-madre che lavora in smart- working, riscontra tanta fatica in termini di concentrazione, derivante anche dall’accudimento dei figli durante l’orario di lavoro, soprattutto in fascia di eta’ compresa tra i 3 e 10 anni in giro per casa, per cui sovente si ritrova a lottare e affrontare la tentazione di lasciarli a guardare la tv pur di riuscire a lavorare, da qui nasce anche l’inevitabile senso di colpa di chi vorrebbe giocare con loro e non puo’.
A cio’ si va ad aggiungere la gestione della casa, le pulizie, la preoccupazione nonché l’eventuale l’accudimento dei genitori anziani, lontani e malati.
Il lavoro che, ab origine, era nettamente separato e lontano dalla vita privata, è di fatto entrato in casa al punto tale da intaccare gli spazi piu’ privati. La casa si è fusa con lo spazio professionale e di conseguenza quello che dovrebbe essere percepito come un “luogo sicuro” è stato inquinato da fattori esterni, talvolta carichi di preoccupazioni.
Ed e’ proprio questo il peggiore scenario in cui si collocano le donne-madri working che, se in epoca pre covid già trascorrevano piu’ ore alla settimana rispetto agli uomini a occuparsi della cura dei figli e della casa, oggi si ritrovano, con l’intensificarsi del carico di lavoro domestico, ad affrontare una vera sfida di sopportazione.
E’ venuto a mancare l’equilibrio tra lavoro, famiglia, tempo libero e addirittura la ripartizione dello spazio: sullo stesso tavolo, per esempio, si mandano mail e si gioca con i figli. Non parliamo del tempo libero che non è piu’ scandito: mentre si lavora ad esempio, si mette a fare una lavatrice o si aiuta i figli con i compiti.
Questa rinuncia “forzata” al contatto sociale, alla mancanza di condivisione, di dialogo, di confronto con i colleghi, ha incrementato , inoltre, sul piano strettamente psicologico, i cosiddetti casi di “bournout”, la sindrome da stress cronico, intenso e prolungato nel tempo, dovuto alla situazione lavorativa, che ha interessato prevalentemente le fasce piu’ deboli e proprio quella della donna-madre, che provoca un “deterioramento delle energie che impedisce di dedicarsi al lavoro con lo stesso impegno e dedizione di un tempo, provocando frustrazione e apatia.
Alcuni psicologi, ritengono che lo smart working debba essere concepito come un modello organizzativo “volto a favorire il lavoratore, attraverso una maggiore flessibilità ed indipendenza, svolto in un ambiente confortevole e una piu’ ampia scelta di orari senza di fatto alterare il conseguimento degli obiettivi aziendali”.
Eppure, attesa la situazione attuale, qualcosa non sta funzionando se si considera che questa tipologia di stress sia ricaduto per lo piu’ sulle donne, perché su di loro grava il carico quotidiano e mentale della casa e dei figli, soprattutto a seguito della chiusura delle scuole.
Si ritiene che la questione afferente il modello dello smart – working sin qui analizzata, seppur in maniera sommaria, andrebbe ripensata e rivalutata perché possa assumere una valenza “pubblica”, ovvero istituzionale e politica e non solo privata, settoriale e sul piano psicologico, almeno fino a quando permane lo stato pandemico e soprattutto, in ossequio al principio delle “pari opportunità”, al fine di scongiurare che possa altresì essere concepito e recepito come una nuova forma di “schiavitu” in senso ampio, della donna-madre dell’era del XXI secolo.
Carmen Federico, presidente associazione culturale “La Rivincita”
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