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31 ottobre 1970, il giorno in cui scomparvero le telefoniste

Entrava in servizio la teleselezione integrale: il giorno in cui ogni italiano, da qualunque punto della Penisola e delle Isole, ha potuto chiamare un altro italiano senza passare dal centralino ma solo componendo un prefisso

Generica 2020

«Centralino, mi colleghi con…». Una frase da vecchio film, ormai nella memoria di pochi: scomparsa esattamente 50 anni fa, il 31 ottobre del 1970. Il giorno in cui da qualsiasi punto d’Italia ha potuto collegarsi a un altro punto d’Italia, senza passare, appunto, dal centralino. Sostituito invece dal prefisso telefonico.

È il giorno in cui è entrata in servizio la “teleselezione integrale”, che consentiva appunto di connettere le centrali locali di tutta  Italia.

«La teleselezione è stata, in questi giorni, completata ed estesa a tutto il Paese e a tutti gli utenti, assolvendosi così agli impegni assunti con la convenzione stipulata il 27 febbraio 1968 con il Ministero Poste e Telegrafi», scriveva alla vigilia il presidente della Sip Giovanni Someda all’amministratore delegato e direttore generale della Stet Carlo Cerutti.

Il servizio telefonico era stato, per decenni, diviso tra diversi gestori: Stipel, Telve, Timo, Teti e Set, ognuna riferimento per un’area d’Italia: Lombardia e Piemonte erano coperte dalla Stipel, che era tra le più all’avanguardia, servendo l’area più industrializzata del Paese. Ma in realtà il sistema telefonico era fortemente parcellizzato: ogni città, anche di provincia, era un piccolo distretto, con i suoi numeri telefonici.

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Un cippo del cavo della linea Stipel tra Lombardia e Piemonte, in via Gaggio (Lonate Pozzolo; foto FM Boschetti)

Per chiamare al di fuori del proprio distretto si doveva passare appunto dal “centralino”.  L’utente (non ancora cliente) chiamava il numero 04 o 14 per le chiamate nazionali o il 15 per l’estero: all’altro capo del telefono rispondeva una signora o signorina, che prendeva nota del numero da chiamare, si connetteva a un altro centralino, metteva in collegamento i due abbonati dopo alcuni minuti. Per questo la chiamata interurbana aveva un costo maggiore, perché dietro c’era una vera quota di lavoro. E ancora maggiore era il costo nel caso si richiedesse la chiamata d’urgenza. 

La teleselezione, che automatizzava il processo attraverso nuove centrali, fu avviata negli anni Cinquanta, razionalizzando un sistema che era cresciuto in modo disordinato e incoerente, riflettendo anche le profonde differenze tra città e provincia, tra Nord e Sud, tra aree rurali e industriali: nel 1957 un passaggio importante fu il Piano Regolatore Telefonico Nazionale, che risistemava i distretti e li numerava in modo coerente (anche se la base – gli 02, 03 con cui iniziano i prefissi) risaliva già ai decenni precedenti.

Man mano la teleselezione si estese a tutta Italia, in particolare dopo la decisione governativa del 1964 di riunire tutti i vecchi gestori nella nuova società nazionale SIP (nel 1964 in Italia c’erano 4,2 milioni abbonati, 5,5 milioni di telefoni e 27.600 posti telefonici pubblici).

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La centrale interurbana di Milano durante la trasmissione Canzonissima, 1962 (foto Archivio Storico Gruppo Tim)

Mentre veniva estesa la teleselezione, scompariva tutto un mondo, quello delle telefoniste: signore e signorine che annotavano i numeri, maneggiavano gli spinotti, si spostavano nei saloni del “centralino” con le loro ciabatte felpate. A loro modo una aristocrazia operaia, cui si chiedeva comportamenti rigorosi, a partire dall’abbigliamento uniformato, con grembiule lungo e colletto bianco (ma quest’ultimo non era fornito standard e quindi si trasformava in piccolo segno distintivo delle personalità: chi più grande, chi più ricamato, chi meno vistoso). Alle ventidue le telefoniste venivano sostituite dai “notturnisti”, gli uomini che prendevano appunto il posti delle “signorine” nella notte.

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 Le allieve operatrici di commutazione della Stipel di Torino durante un corso di addestramento del 1960-1961 (foto Archivio Storico Gruppo Tim)

In qualche modo, dovendo controllare la durata delle chiamate, i centralinisti erano anche un po’ depositari dei segreti degli italiani. Per questo era chiesta massima discrezione. Durante l’occupazione nazifascista del 1943-45 i centralini divennero – all’opposto – snodi importanti per fornire informazioni alla Resistenza, ai partigiani e chi cospirava in città: che fosse il centralino di Milano o Torino o che fosse la centrale di un piccolo centro come Domodossola, Busto o Borgomanero, ovunque furono elemento importante per arrivare alla Liberazione.

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Operatrice Stipel, di fronte al quadro sinottico dei distretti telefonici del Piemonte (foto Archivio Storico Gruppo Tim)

Tornata la pace, le telefoniste furono anche protagoniste di un film, “Le signorine dello 04” di Gianni Franciolini, commedia ambientata in una centrale telefonica di Roma a cui gli utenti si rivolgono, componendo appunto il numero 04, per le telefonate interurbane e internazionali.

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Centrale automatica di Lorenteggio, Milano Sud, 1965 (foto Archivio Storico Gruppo Tim)

Migliaia di passi, facevano le telefoniste. Fino al 31 ottobre 1970, quando il sistema fu completato. Fatta l’Italia, ora si collegavano gli italiani: da quel giorno “il” Mario di Lecco poteva chiamare Calogero a Sciaccia, Teresa di Roma poteva chiamare Gavino. Dietro alla rivoluzione c’erano anche enormi investimenti e innovazioni tecnologiche, sostenuti dallo Stato. E dietro l’automazione c’erano i lavoro di migliaia di tecnici, operai, ingegneri, manutentori della Sip e della Stet, insieme alle Ferrovie dello Stato l’azienda più ramificata sul territorio nazionale.

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Operai Stipel, Varese, 1962 (foto Archivio Storico Gruppo Tim)

Oggi lo diamo per scontato, ma dietro ogni pezzo del nostro mondo ci sono decenni di trasformazioni ed evoluzione tecnologica.

 

Hai lavorato in un centralino? Hai avuto parenti che hanno fatto i centralinisti? È una storia importante di ogni città, non disperderla: raccontacela scrivendo a redazione@varesenews.it

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 31 Ottobre 2020
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