“Campiamo con 200 euro al mese e siamo invisibili”
La protesta delle lavoratrici delle mense scolastiche. Situazioni al limite, cassa integrazione in ritardo per cifre che non superano i 250 euro. Ora scatta pure la sospensione per tre mesi senza alcun reddito
In tempi normali guadagnerebbero 600 euro al mese, ma da quando hanno chiuso le scuole per l’emergenza coronavirus hanno preso250 euro di cassa integrazione con molto ritardo per i mesi di marzo e aprile. Da oggi fino a settembre non avranno più reddito. Per tre mesi vigerà il periodo di sospensione, una sorta di “congelamento” del loro status di dipendenti, periodo che coincide con la chiusura delle scuole e per il quale non è previsto alcun sostegno al reddito.
Si tratta delle lavoratrici dipendenti delle società private che hanno in appalto i servizi delle mense scolastiche, riunite in presidio davanti alla prefettura di Varese per far conoscere la loro condizione. Quest’anno, oltre alla sospensione, hanno dovuto fare anche i conti con la cassa integrazione che non è stata anticipata dalle aziende e che arriva sempre in ritardo. «Chiedono il riconoscimento dello status di disoccupati di part time ciclici (forma contrattuale non basata sul monte orario giornaliero ma annuale, ndr), ma soprattutto rivendicano il fatto che la mensa non è un servizio qualunque ma un momento didattico importante» spiega Giuseppe D’Aquaro segretario provinciale della Fisascat Cisl.
Queste lavoratrici non vogliono più essere invisibili e rivendicano un riconoscimento a livello contrattuale per accedere agli ammortizzatori sociali e avere un minimo di copertura per i mesi di sospensione.
«In questo periodo – dice Caterina che lavora nelle scuole di Gallarate – abbiamo avuto l’anticipo della tredicesima e della quattordicesima pari a circa 150 euro, cifra che varia leggermente a seconda delle ore di contratto. La cassa integrazione di marzo e aprile è arrivata con notevole ritardo e parliamo di cifre ridicole. A noi però le bollette dell’acqua e del gas sono arrivate con grande puntualità».
Ci sono anche famiglie monoreddito, madri che con queste cifre devono mantenere i figli e le relative spese. Alla ripresa dell’attività a settembre queste lavoratrici non avranno maturato nulla e questa volta, se continuerà l’emergenza Coronavirus, non avranno nemmeno la sicurezza di avere un posto di lavoro. «Il nostro contratto – sottolinea ironicamente una lavoratrice – segue i tempi della scuola, come se noi da giugno a settembre smettessimo di vivere».
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