Gira, calumet gira
di Carlo Cavalli
Il racconto della domenica è a cura della scuola di scrittura creativa Edizioni del Cavedio coordinata da Fiorenzo Croci.
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Accovacciati a cerchio, ci passiamo il calumet in senso orario e poi, al cenno di Ganascia Asimmetrica, in senso antiorario, giusto per evitare che l’ultimo giro risulti fatale ad Argano Sedentario, imbolsito dallo sniffare e insofferente per il gran gesticolare di Mimo Mutevole dei Choctaw.
L’unico viso pallido ammesso al Gran Consiglio sono io, Joe Perfiumi, per via della amicizia di sangue che mi lega a Poco Che Vaga dei Pawnee, giunto al campo con un cavallo senza i colori di guerra avendo inteso, dai segnali di fumo, che l’incontro fosse del tutto informale, senza vernice finale.
Nella tenda il fumo si è fatto coagulo e accorpa l’oppiaceo odore di erbe aromatiche al colloso sentore di tabacco di bufalo.
Il calumet passa di mano in mano e il fornello rovente, di argilla nerastra e a T rovesciata, accentra le rituali riflessioni.
“La guerra è guerra, se pace non è”. Chi potrebbe dissentire?
“Gli indiani dei laghi vogliono che l’arco inarchi le canoe contro il nemico”, mormora Anatra Spalmata , già nipote di Anatra Palmata, ultimo baluardo spianato dal Settimo Cavalleria. “Gli indiani delle foreste hanno infatuato di quarzo le punte delle frecce”. “Gli indiani dei fiumi stanno cotonando le criniere dei mustangs”.
“Per tirare, tira. Ma avrei preferito il cannello di legno bombato”, commenta Ganascia Asimmetrica.
L’annotazione impone attimi di silenzio, ma qualcuno abbozza il refrain del tormentone “Chi dissotterra l’ascia?”
“I tendini disseccati del Maggiore Pearson sono ali per i mocassini”. “Gli indiani delle colline hanno appeso le faretre ai rami degli ontani. Quelli vicini”.
“Guerra chiama guerra”.
“Se nel deretano del nemico infilo radici di tamarack, che dirà poi la mia donna che invoca pace?”
Il calumet si è fatto ustionante e le perle di vetro aggiunte al cannello si sono liquefatte.
“Non ci sono più i corsetti di ermellino di una volta”.
“Lo scalpo ben acconciato è terapeutico come l’ipnosi del gufo”.
“Guaina stretta, guaito di cane reietto”.
“Se rimetto il tomahawk nella rastrelliera, mia suocera mi chiederà perché mai ho rimesso il tomahawk nella rastrelliera” Il fornello del calumet non è più una T rovesciata.
È un grumo di fuoco, una vampa che avvampa.
Un perdurante silenzio, il silenzio finale.
La parola va al più anziano, percorso dalle rughe di cento primavere spese così così.
Renna Centenaria è sorda come un gufo in pastella di tufo.
Capisce rane per rame e allora bisogna far credere a tutti che siano la stessa cosa.
Il Vecchio pensa e ripensa, per poi illuminarsi negli occhi già proiettati verso l’oblio.
“Quando si è sotto vento, solo allora capisci la sagacia del fagiolo”.
Allora guerra sarà.
Racconto di Carlo Cavalli, foto da collezione privata
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