Metà passeggeri, orari scaglionati e gel per le mani: come ripartire con treni e metro
In Piemonte si parla di treni da prenotare, ma le aziende di trasporto avvertono: "Necessario distribuire orari ed evitare le ore di punta". Difficile garantire controlli puntuali sui passeggeri. Mentre il ricorso all'auto rischia di diventare un boomerang
Come ci sposteremo nella “fase due”? Come ripartiremo, soprattutto i pendolari che affollano i treni?
«Occorre incidere a monte attraverso la combinazione di misure (di coordinamento con le aziende e di regolazione dei flussi di mobilità) sulla capacità di trasporto». La richiesta delle aziende di trasporto già contiene un pezzo del futuro: scaglionare gli orari di lavoro è fondamentale. Una potenziale rivoluzione, perché vorrebbe dire evitare del tutto che si possa ancora parlare di “ore di punta”. Altrimenti il sistema non regge.
Certo, poi ci sono tutte le altre risposte: gel per le mani sui treni e nelle stazioni, sicurezza per il personale e tutto il resto. Ma prima di tutto, senza una soluzione per evitare le ore di punta, si rischia il blocco.
L’hanno detto insieme le due maggiori associazioni di aziende dei trasporti, la Agens guidata da Arrigo Giana (direttore generale di Atm) e l’Asstra guidata da Andrea Gibelli, presidente di Ferrovie Nord Milano, che rappresenta 930 operatori: dai giganti come Trenord alle aziende di bus che portano persone fin nelle più sperdute valli (e attenzione: avere due bus al giorno può voler dire che sono affollatissimi).
Il punto di partenza è che lo scenario per la fase due preveda “un utilizzo del mezzo di trasporto pubblico quasi esclusivamente per motivazione legate al lavoro e a situazioni di necessità”, mentre crollerebbe la mobilità per diletto, per andare a fare un giro in centro a Milano o a Varese o andar a trovare un parente a Novara. “Si può ragionevolmente prevedere che nelle fasi emergenziali la domanda di mobilità pubblica potrebbe subire una riduzione di circa il 50%“.
Resta un 50% di persone che dovrebbero muoversi. Con il problema – torniamo lì – delle ore di punta: prima del Covid Trenord trasportava 400mila persone tra le 7 e le 9, altrettante, cifra simile tra le 17 e le 19. Con treni stracarichi, dove le persone viaggiano (viaggiavano) in piedi, spesso a pochi centimetri le une dalle altre.
Le condizioni di trasporto nelle ore di punta, prima del Covid-19: Porta Garibaldi, ore 18.30Alla fine la necessità è quella: un enorme coordinamento della domanda di trasporto. Altrimenti l’offerta non basterà, almeno non sarà sicura, perché ci saranno convogli troppo pieni o troppa gente lasciata in attesa su banchine (treni o metro o fermata autobus) troppo piene. E allora – continua il documento Asstra – è necessario andare avanti «limitazione degli spostamenti attraverso il ricorso a smart working e nuove tecnologie», da rendere più efficienti e stabili; «ridefinizione dei tempi e dell’organizzazione delle città e dei territori al fine di distribuire su un arco temporale più lungo il flusso dei passeggeri».
In Piemonte si pensa anche a treni pendolari da prenotare, ma soprattutto fondamentale diventa il «coordinamento con le aziende e di regolazione dei flussi di mobilità». Una questione forse troppo a lungo lasciata in disparte, come del resto lo smart working, che alcune aziende hanno scoperto possibile solo in emergenza: teoricamente dal 1998 tutte le grandi aziende dovrebbero avere un mobility manager, ma spesso il tema trasporti è stato relagato al singolo lavoratore oppure confinato in documenti burocratici che poco hanno coordinato. Anche per questo la valorizzazione dei mobility manager è considerata misura necessaria nel «breve periodo».
E i controlli? Si parla di termoscanner, oltre che del rispetto delle norme sulle mascherine obbligatorie. Ma attenzione: le aziende chiedono che «la responsabilità di effettuare i controlli necessari per verificare il rispetto» sia delle forze dell’ordine, mentre ritengono che «non è materialmente attuabile un’attività sistematica di misurazione della temperatura corporea dei passeggeri a cura dei gestori». Mentre i gestori possono mettere distributori di gel per le mani nelle stazioni e nelle fermate.
Altro punto critico: la soluzione più immediata che le persone tenderanno a prendere è l’uso dell’auto, nei giorni scorsi il settore dell’auto sembrava intravedere enormi possibilità di guadagno di fronte alla riscoperta del mezzo privato. Le aziende di trasporto però lanciano l’appello per la «disincentivazione all’uso del mezzo privato», pena ulteriori problemi alla mobilità pubblica. Perché avere meno auto significherebbe contribuire «alla fluidificazione del traffico ed all’incremento della velocità commerciale dei servizi» di trasporto pubblico. Magari in provincia meno, ma nelle grandi città si rischierebbe il collasso.
In Piemonte c’è chi persino chi ha chiesto di riattivare linee ferroviarie sospese (non chiuse) al servizio regolare, perché i treni garantirebbero più facilmente il distanziamento sociale, rispetto ai bus.
C’è però anche una questione di risorse necessarie. E allora, a proposito di auto private, le aziende chiedono alle istituzioni di non proseguire con la «gratuità delle aree di sosta». Altrimenti mancheranno anche soldi da destinare al trasporto pubblico. Anche qui, come nell’emergenza sanitaria, sembra emergere che la soluzione è solo collettiva e richiede risorse pubbliche.
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