Un’operatrice socio sanitaria: “Sottovalutazione e poca informazione alla Focris di Saronno”
Una delle dipendenti della cooperativa presente all’interno della Focris, la Rembrandt, ci ha raccontato il proprio punto di vista su come vanno le cose all’interno della Rsa intercomunale di Saronno
(foto tratta dal profilo Facebook della Focris prima che venissero cancellate)
La situazione delle case di riposo in Lombardia in questo momento di emergenza provocato dal virus Covid-19 è complessa. In alcuni casi drammatica, lo abbiamo scritto e raccontato in diversi articoli che trovate QUI.
Per quanto riguarda la situazione di Saronno, ci siamo occupati della Rsa Sant’Agnese che ha comunicato con grande trasparenza ai parenti dei propri ospiti la presenza di sei casi di contagio nella struttura di via Frua. La Rsa Giulio Gianetti non ha per il momento (e speriamo vada avanti così) casi di contagio, mentre alla Focris, la casa di risposo intercomunale, ci sono stati alcuni casi, due persone decedute in ospedale e alcuni dipendenti che hanno registrato sospetti di contagio.
Una delle dipendenti della cooperativa presente all’interno della Focris, la Rembrandt, che fornisce una quarantina di operatrici socio sanitarie che lavorano con i 108 ospiti della struttura, ci ha contattati per raccontare come vanno le cose all’interno della Rsa fondata nel 2004 per iniziativa dei Comuni di Saronno, Cislago, Uboldo, Ceriano Laghetto, Cogliate, Misinto, Solaro. Soprattutto ci ha raccontato come sono andate le cose nel periodo di sviluppo del coronavirus, tra fine febbraio e inizio marzo, quando, anche secondo i sindacati, c’è stata una sottovalutazione del problema da parte dei vertici della casa di riposo.
«Io come molte altre mie colleghe lavoriamo in Focris da più di dieci anni, alcune sono arrivate quando è stata fondata, altre subito dopo, ma diciamo che conosciamo molto bene la struttura e le dinamiche che la governano – spiega la Oss che ha chiesto di rimanere anonima -. Nelle ultime settimane ci siamo sentite abbandonate a noi stesse, una sorta di “si salvi chi può”. Quando è cominciata l’emergenza, a fine febbraio, qualcuno dei dipendenti è arrivato in Focris indossando la mascherina, ma il direttore generale, avvertito da qualcuno, è arrivato subito e le ha fatte togliere a chi le aveva, anche in maniera energica. Addirittura una parente è stata ripresa, ai primi di marzo: era venuta a trovare il papà, il direttore l’ha “sgridata” e le ha fatto togliere la mascherina con la scusa che spaventava gli ospiti. Quelli spaventati dalle voci continue che arrivavano da fuori e da quello che invece non veniva fatto all’interno eravamo noi. Abbiamo chiesto mascherine e dispositivi di protezione alla coordinatrice della nostra cooperativa, ma lei ci ha risposto in maniera sommaria, dicendo di non cominciare a fare allarmismi perchè in quel momento c’era bisogno di persone forti e che andassero a lavorare e non avessero paura. Eravamo a inizio marzo: dopo una settimana abbiamo richiesto le stesse cose, la risposta è stata che sarebbero arrivate ma che se non ci andava bene potevamo licenziarci. Le mascherine sono arrivate, leggerissime, inutili, senza nessun marchio CE, ma con scritto “sicure al 100% contro virus e batteri”. Ognuno si è arrangiato, ha cercato mascherine per conto suo, cosa dovevamo fare? La cooperativa ci ha poi dato gli occhiali, 4 paia da condividere con tutti gli operatori dei vari turni. L’occhiale lo metti, a fine turno si lava e si rimette a posto, poi lo usa un’altra persone. Poi sono arrivati i camici, pochi, tanto che qualcuno ha portato lo stesso anche per più di una settimana».
«Il virus poco dopo è entrato in Focris. Nel pieno dell’emergenza, quando i parenti non entravano già più, intorno al 5 marzo il direttore insieme alla capo infermiera e alla capo animatrice ha organizzato il “virusotto”, una risottata (con tanto di foto postate sul profilo Facebook della struttura, poi cancellate), portando gli ospiti da tutti e quattro i piani in un salone, nonostante alcune infermiere si fossero opposte – racconta ancora l’operatrice sanitaria -. Non posso collegare i fatti, ma dopo la risottata un po’ di persone al primo piano hanno cominciato ad avere la febbre, una persona è stata portata in pronto soccorso dove le hanno fatto il tampone ed è risultata positiva, ma la comunicazione è arrivata solo dopo sei giorni e dopo parecchie pressioni. Un gravissimo ritardo per noi che con i pazienti ci lavoriamo a stretto contatto. Poi la signora purtroppo è morta, anche se pochi giorni prima il direttore ha fatto dichiarazioni assurde, dicendo che stava bene e che voleva tornare in Focris. A marzo gli animatori Focris sono stati assenti tranne una persona al primo piano, fisioterapisti in malattia, tra le infermiere anche lì ci sono state malattie. Anche parecchi dipendenti della cooperativa sono stati a casa col sospetto di aver contratto il virus, circa 15 su 40, con tosse, febbre e mal di gola. Tamponi finora non li hanno fatti (i primi 20 ai dipendenti Focris sono stati effettuai nella giornata di martedì 14 aprile, ndr). Per noi li hanno predisposti dal 16 aprile al 18 aprile. Lavoriamo sotto organico, in condizioni precarie, rischiando di ammalarci. Manca la formazione, anche: nessuno di noi è stato preparato per fronteggiare una cosa del genere, come gestire i dpi, come usarli, cosa fare e cosa non fare; pensate che ci spogliavamo tutte insieme nella stessa stanza fino a poche settimane fa. La struttura non è preparata per gestire una cosa come questa. Qualcosa è migliorato con l’arrivo del nuovo direttore sanitario che ha messo alcuni paletti, percorsi chiusi, istituito una zona rossa al terzo piano dove ci sono ospiti sospetti, ma non basta. La preoccupazione è alta perchè sembra che qui dentro l’allarme sia appena iniziato. Da inizio marzo sono una quindicina gli ospiti deceduti, solo due o tre sono quelli “certificati” Covid, gli altri sono morti in struttura senza aver fatto il tampone. Numeri che di solito si registrano in un anno».
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