Processo Cazzaniga, le richieste di risarcimento ammontano a 14 milioni
Iniziate le conclusioni delle difese mentre emerge il totale degli indennizzi economici da parte dei parenti delle vittime. Le arringhe dei difensori dell'Asst Valle Olona e di Nicola Scoppetta
I risarcimenti chiesti dalle circa 40 parti civili nel processo a Leonardo Cazzaniga, ex-medico del Pronto Soccorso di Saronno, e ai vertici amministrativi e sanitari dell’ospedale saronnese ammontano a 14 milioni di euro. La cifra monstre è stata citata in aula dai primi due difensori degli imputati che hanno concluso questa mattina, in aula a Busto Arsizio, per i 10 casi di morti sospette (per un caso è stata chiesta l’assoluzione) imputate all’ex-viceprimario del Pronto Soccorso e per i tre omicidi commessi in concorso con Laura Taroni, infermiera dello stesso ospedale con la quale Cazzaniga aveva una relazione da alcuni anni, già condannata a 30 anni di carcere in primo e secondo grado.
A tanto,dunque, ammontano le richieste delle parti civili seguendo pedissequamente le tabelle dl Tribunale di Milano. Ma le difese hanno iniziato da questa mattina (lunedì) a dare battaglia per affermare l’estraneità degli imputati ai fatti contestati, davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Busto Arsizio, presieduta dalla presidente della Camera Penale Renata Peragallo.
Il primo a concludere è stato l’avvocato Giuseppe Candiani che difende l’Asst Valle Olona chiamata in causa come responsabile civile. Il difensore ha dapprima chiamato tutti ad una riflessione «Nessuna parola è stata spesa in quest’anno e mezzo di processo sulle sofferenze dei pazienti di cui stiamo parlando. Si è parlato solo del dolore dei parenti, concretizzato in 14 milioni di euro di richieste di risarcimento» – ha detto Candiani.
Il legale cita “La morte di Ivan Il’ič” di Tolstoj per introdurre il tema del vuoto di regole sulle cure palliative negli ospedali italiani e ricorda che proprio a Saronno non c’è un hospice: «Non si poteva pretendere di seguire tutte le procedure. Sono mancati i medici di base che dovevano indirizzare questi pazienti e aiutarli nel percorso più corretto. Non è un caso se solo ora se ne parla nei convegni della questione delle cure palliative nei reparti di emergenza urgenza».
Sul carattere di Cazzaniga, Candiani è lapidario: «Meglio uno specialista bravo e scorbutico o uno meno bravo e gentile?». Infine entra nel tema del processo rivolgendosi alla corte «Dovrete chiedervi se è stata raggiunta la prova dell’intenzionalità in ogni singolo capo a lui contestato? Credo di no. Rimane certamente un ampio spazio di censurabilità dal punto di vista deontologico che può arrivare alla radiazione ma siamo in quell’ambito».
Sul nesso di causalità per Candiani «deve essere provato. Sia per morfina che midazolam non c’è la prova che i dosaggi abbiano portato alla morte dei pazienti. Il problema non è se quelle erano o non erano cure palliative ma se quelle prescrizioni abbiano un senso: un senso ce l’hanno, erano persone per le quali non c’era tempo di portarle in hospice. Voleva ridurre la loro sofferenza. Il nesso di causalità deve essere accertato scientificamente. Se non c’è dose letale non c’è la prova del nesso di causalità». In conclusione per il legale dell’Asst Valle Olona «si è trattato dell’approccio disperato di un medico che non si occupa di cure palliative a casi che richiedevano cure palliative. Il sistema nazionale si deve attivare per risolvere questo problema che esiste in molti ospedali».
Il secondo a discutere è stato l’avvocato Massimo Pellicciotta che difende l’ex-primario del Pronto Soccorso Nicola Scoppetta, accusato di favoreggiamento e che ha esordito con dei numeri: «Nei 10 anni precedenti ai fatti sono entrati al Pronto Soccorso di Saronno 60 mila pazienti all’anno. 56 mila sono stati trattati da Cazzaniga. Si occupava prevalentemente di codici rossi. Oggi siamo qui a parlare di 4 casi su 56 mila, lo 0.005%». Pellicciotta ha puntato la sua difesa sul fatto che il pronto soccorso è un mondo a parte rispetto al resto dell’ospedale e ha fatto appello alla Corte, soprattutto ai giudici popolari di rimanere equidistanti: «Qui si fa un processo su basi scientifiche e non sulla filosofia. Il tema dell’infusione è fondamentale. Se Cazzaniga avesse voluto uccidere avrebbe usato il bolo e non l’infusione che, invece, significa terapia a lento rilascio che si può cambiare».
Il legale spiega che Scoppetta aveva davanti i verbali e si basava su quello che dicevano: «il risultato era lampante: i farmaci usati erano appropriati, l’associazione tra loro andava bene. La quantità di farmaci? Non possiamo dirlo perchè non c’era scritto. Nella commissione doveva rispondere solo per la sua competenza circa il fatto se all’interno del reparto fosse garantita organizzazione adeguata. I periti dicono che aveva competenza in materia di anestesia e rianimazione? Follia».
Secondo Pellicciotta, dunque, da parte di Scoppetta non vi era nessuna volontà di aiutare Cazzaniga o di nascondere uno scandalo. Anche sulla vicenda del sangue di Massimo Guerra (morto a seguito di somministrazione di farmaci per il diabete che non aveva, ndr) scambiato con quello di Cazzaniga e alterato, Pellicciotta ha una versione dei fatti che spiegherebbe perchè il suo assistito non ha denunciato: «Scoppetta non sapeva che Cazzaniga aveva effettuato un prelievo del suo sangue. La dottoressa Sangion lo avrebbe scritto in una mail ma lui non l’ha mai letta. In ospedale si usano solo email istituzionali mentre la Sangion aveva usato la sua privata. Non poteva capire cosa stava succedendo perchè per lui era spam». Per questo il legale chiede l’assoluzione da tutti i reati contestati: omessa denuncia e favoreggiamento.
Per quanto riguarda la chiamata a responsabilità civile «non può essere ritenuto responsabile per quello che accade quando non c’è. Il prelievo di sangue era stato fatto a novembre e a giugno dell’anno dopo si è verificata la morte. Non può esserci nesso di causa in questa inimmaginabile catena di eventi».
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