Gli operai: “La Riva Acciaio siamo noi”
L'ipotesi di un commissario per gestire gli impianti nel nord Italia non risolve il problema della liquidità necessaria per pagare fornitori e stipendi. La famiglia Riva potrebbe fare istanza di dissequestro per gli asset e cespiti (finanziari inclusi) necessari all'attività produttiva
Giovedì scorso Giovanni D’Amico dopo aver finito di lavorare è rientrato come sempre a casa, ma prima di andare a letto ha ricevuto una telefonata del meccanico che montava nel turno di notte: «Giovanni, da domani si chiude». Per lui, come per gli altri 162 lavoratori della Riva Acciaio di Caronno Pertusella, è stata una doccia fredda. «Non credevo a quello che sentivo – dice il lavoratore -. Io sono arrivato dalla Sicilia circa dieci anni fa in cerca di lavoro, ho fatto la mia domanda e qui mi hanno assunto, da quel giorno ho sempre lavorato».
I rappresentanti sindacali della Fiom e della Uilm parlano di paradosso, visto che fino a pochi giorni fa si prospettavano nuove assunzioni e l’aumento dei turni fino a 126 ore settimanali. «In tutti questi anni – aggiunge Michele Padovani– l’azienda non ha sgarrato di un solo giorno nei pagamenti e non abbiamo mai avuto problemi di commesse». Gli operai della Riva Acciaio sono profondamente identificati con l’azienda, come un tempo lo erano quelli dell’Alfa Romeo o dell’Ignis. «Noi siamo la Riva» ripetono con orgoglio ostentando il marchio dell’azienda stampigliato sulla tuta blu.
A Caronno Pertusella, come negli altri quattro siti lombardi in provincia di Brescia (Malegno, Sellero e Cerveno) e di Lecco (Annone Brianza), si attendono notizie sul destino dell’azienda. C’è molta preoccupazione perché alcuni clienti, soprattutto i laminatoi e gli stampatori della zona, hanno iniziato a rivolgersi ad altri fornitori, e perché c’è la consapevolezza che più passa il tempo e più il danno aumenta andandosi a sommare a quello dell’indotto: i commercianti di rottame sono esposti per 100 milioni di euro, mentre gli stampatori e i forgiatori devono a loro volta cambiare velocemente fornitore.
(foto da sinistra, gli operai Giovanni D’Amico, Michele Padovani e Michele D’Agostino)
«Noi saremo qui domani e anche nei prossimi giorni» dicono gli operai schierati sulla strada per volantinare tra le macchine e i camion che sfrecciano in via Bergamo. Ma dopo l’annuncio della famiglia Riva di bloccare la produzione nei sette siti produttivi del nord Italia e mettere in mobilità 1.400 lavoratori a causa del sequestro dei beni da parte della magistratura tarantina, l’unica prospettiva avanzata da più parti, governo compreso, è l’arrivo di un commissario, soluzione che non dà una risposta al problema principale: dove troverà il commissario la liquidità necessaria per pagare fornitori e stipendi se la magistratura ha bloccato i conti?
Il Governo ha invitato la famiglia Riva a riavviare gli impianti e a fare istanza di dissequestro degli asset e cespiti, quelli finanziari inclusi, necessari all’attività produttiva. «Qui il valore è la produzione- conclude Giovanni – se spegni gli impianti, l’azienda non vale più nulla».
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